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CORRIERE DELLA SERA Il boemo depresso ma non per gli insulti “Non ditemi vecchio”

Zeman

(A.Pasini) – Un uomo solo contro «lo stadio come un sol uomo». Questo chiede, tronfio e gonfio di retorica, il maestro di cerimonie dell’arena. E il popolo bianconero esegue. In 40 mila formano una voce unica per cantare l’inno, poi si alzano e urlano a comando: «Dieci, venti, trenta!». È il memorandum prepartita all’uomo che un giorno disse che per lui gli scudetti della Juventus sono anchemeno di 28. Forse venti. Forse dieci. Forse nessuno. Zdenek Zeman non batte ciglio, non lo fa mai. Prima—lo rivelerà a gara finita—si stringe la mano nel sottopassaggio con Carrera. Poi, in piedi davanti alla panchina all’inglese (tra la gente, per questo le misure di sicurezza sono state rinforzate), raccoglie foto, insulti (scontati, c’è sempre la mamma di mezzo), striscioni (idem, c’è sempre la materia organica di mezzo) e, a conti fatti, si gode ilmomento migliore della serata, ritto a petto in fuori probabilmente pensando: «Tutto qua?». È un’illusione. Perché se il boemo aveva previsto l’accoglienza degli juventini — in fondo, e non è una consolazione, nulla che non si sia già visto negli stadi d’Italia da quando c’è il calcio — non poteva immaginare lo sbraco epocale della sua squadra, sbriciolatasi al primo «bù» della Signora.

Un crollo che ha scosso anche lui: «Non ho visto neanche una mia idea in campo. La Juve è stata nettamente superiore. Noi non abbiamo né difeso, né attaccato. Abbiamo perso tutti i contrasti. Meritavamo di subire altri gol». Se è un episodio o la fine di un’Idea, è presto per dire. Zeman, naturalmente, ritiene che questa partita debba insegnare a migliorare. «Spero sia solo questione di tempo». Forse però il dubbio sta venendo anche a lui, insinuante, sottile: «Ho visto giocare un sacco di palloni senza senso. I giocatori devono dare di più dal punto di vista tattico. E poi le motivazioni c’erano. Forse non mi sto spiegando bene…». Così, impietose, adesso arrivano le domande scomode. Non era meglio restare a Pescara? «No, sono contento di essere alla Roma». Ha sentito che l’ex presidente della Juve, Cobolli Gigli, pensa che lei alla sua età farebbe bene a ritirarsi? «Non sono vecchio. Gente come il presidente della Repubblica e il Papa ha più anni di me e fa ancora bene il suo lavoro…».

Ecco allora che, in una nottataccia simile, la famosa resa dei conti tra ZZ e il popolo bianconero quasi svapora nello stupore collettivo e, di fronte a questa sproporzione di forze, Zeman deve dimenticare almeno per 90′ l’antica materia del contendere (il mio complotto è più grosso del tuo), la provocazione («Conte lo volevo con me al Foggia…»), l’irritazione per il preparatore dei portieri in conferenza stampa alla vigilia (e poi, alla fine, pure davanti ai microfoni televisivi), il passato velenoso. La sveglia è storica e sposta la direzione dei pensieri: la situazione è improvvisamente incerta (con due vittorie, di cui una a tavolino, in sei partite non si fa la rivoluzione ma bancarotta) e la memoria riporta a giorni amari. L’ultima volta che il boemo incrociò i bianconeri (25 novembre 2006, campionato di serie B), il suo Lecce perse 4-1. Allora, quanto a insulti, forse andò peggio. Ma ieri, contro ogni previsione, non è stato quello il problema principale: «Non ho sentito niente, forse avevo qualcosa nelle orecchie…». Battuta e sorriso trattenuto. È stato l’unico momento della serata in cui Zeman è sembrato davvero Zeman.

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