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Cosa non torna nei Trigoria leaks

L’inchiesta di Repubblica sul caso De Rossi piomba come un fulmine a ciel sereno. Spariglia le carte dando voce alla versione della società nella gestione di un dossier spinoso che ha visto, per la prima volta in 8 anni, l’intera tifoseria coalizzarsi contro di lei, salvo poche eccezioni. Unitarietà che, indubbiamente, il pezzo a 4 mani firmato Bonini-Mensurati rischia di minare, riproiettandoci in uno scenario da Orazi e Curiazi.

Pace: il giornalismo funziona così, non deve tener conto delle reazioni alle notizie pubblicate ma limitarsi a darle. Saranno la storia e gli, eventuali, processi a stabilire se in questo caso siano vere o meno. Se l’inchiesta confermi la bontà del lavoro condotto fra Trigoria e via Tolstoj per eliminare i presunti golpisti o se, come sostiene qualcuno, si tratti di una grossa operazione per salvare la faccia dopo una contestazione che ha raggiunto ogni angolo del pianeta.

Il punto è un altro: chiedersi se l’inchiesta risponda a tutte le domande legate al caso De Rossi. E qui, Bonini e Mensurati ci perdoneranno, qualcosa scricchiola. Partiamo dalla fronda. Che il mondo del calcio sia ammantato di ipocrisia è cosa nota; come lo è il fatto che gruppi di calciatori (non solo a Roma) abbiano guidato rivolte interne contro questo o quell’allenatore o dirigente fino alla sua esautorazione. Per le indubbie capacità di leadership sui compagni – a volte difesi a spada tratta a costo di mettersi contro mezza tifoseria – De Rossi è stato un personaggio piuttosto chiacchierato negli anni. Chi lo ha accusato di aver “cacciato” il primo Spalletti, chi il primo Ranieri, chi di aver osteggiato sin da subito Zeman. Il tutto senza uno straccio di prova, s’intende.

Ora, nel pezzo i due giornalisti scrivono di un tentato golpe ai danni di Totti, con protagonisti, oltre a De Rossi, anche Dzeko, Kolarov e Manolas
(quello, per capirsi, che piangeva come un bambino quando Totti ha lasciato il calcio). Diamo per buona l’indiscrezione, che confermerebbe anni di vulgata popolare sul rapporto non idilliaco fra i due (ex) capitani al di là delle smentite di rito e della retorica di circostanza sui “fratelli in campo e fuori”. La domanda è: perché questo accanimento?

Se Totti (come si è più volte detto e scritto) non esercita alcun potere, se la sua è più che altro una figura da cerimoniere, per quale motivo chiederne il defenestramento? Perché ha difeso Di Francesco sino alla fine? Perché aveva cattivi rapporti col medico e col capo dei fisioterapisti amico di De Rossi? Suona strano che un giallista come Bonini – uno che ha scritto libri su Mafia Capitale – non si sia posto il problema del movente. Come è strano che Totti, dopo l’esonero del vecchio allenatore, si sia mosso in prima persona per chiamare Ranieri. Cioè colui che più di ogni altro ha criticato il mancato rinnovo a De Rossi, arrivando addirittura a incontrare i tifosi durante la contestazione a Trigoria, proprio insieme al centrocampista.

E ancora: se De Rossi era un pericoloso rivoluzionario, perché Fienga gli ha offerto un posto da vice Ad? Perché Pallotta (stando agli audio fuoriusciti in quei convulsi giorni) gli ha proposto last minute un contratto a gettone? Che ruolo avevano, poi, nella fronda Dzeko, Manolas e Kolarov, giocatori che sono da mesi con le valigie sulla soglia di Trigoria?

C’è poi un approccio metodologico particolare, l’intera ricostruzione ruota attorno a un solo elemento: la mail con cui Lippie denuncia l’esistenza della fronda, i mal di pancia dei 4 senatori su Totti e Di Francesco, le critiche a Monchi e così via. Tralasciando il fatto che un ex dipendente continui a fare da gola profonda alla proprietà con cui, ufficialmente, non lavora più da due anni (e questo la dice lunga sulla sua permanenza a Trigoria nonostante il record di crociati andati in frantumi), dal resoconto emerge un’ulteriore stortura: la cacciata di Stefanini e Del Vescovo. Perché licenziarli se proprio loro – come sostiene Lippie – erano addetti a informare l’ex preparatore (e quindi Pallotta) sulle dinamiche dello spogliatoio? Scelta incomprensibile.

Alla fine i due cronisti non fanno altro che dar credito alla versione parziale di una persona che non vive più la Roma da due anni. Il resto dell’articolo, infatti, non fa altro se non la cronistoria della stagione appena trascorsa riportando di tanto in tanto testimonianze confermate da più fonti su singoli episodi (come il presunto sfogo di De Rossi dopo l’acquisto di Nzonzi). Documenti: zero. Prove effettive: zero. Troppo debole la narrazione per poter parlare di inchiesta, salvo Bonini e Mensurati si apprestino a tirar fuori qualcosa di ancora più esplosivo nei prossimi giorni.

E qui possiamo tirare le prime somme. Secondo Repubblica, in sostanza, l’andamento altalenante della squadra e il fallimento dell’obiettivo Champions sarebbero frutto del golpe orchestrato dai 4 senatori ai danni di Di Francesco, Totti e Monchi. Tanta carta sprecata per tornare al più popolare: “I calciatori non s’impegnano, giocano contro l’allenatore”. Analisi piuttosto superficiale ma diamola per buona. Mettiamo che sia andata così e che faccia bene Pallotta ad azzerare tutto. Perché, allora, si parla di riduzione del monte ingaggi, di progetto giovani? Forse i top player hanno maggior attitudine alla rivolta? O esiste un’età particolare (durante la carriera di un calciatore) in cui si perde l’innocenza e si diventa incendiari?

Potremmo chiudere con questi due quesiti se l’articolo di Bonini e Mensurati finisse con il racconto della vicenda. Non è così. Senza alcuna logica (salvo forse quella di allungare il brodo) il pezzo si conclude con una stranissima valutazione sul lavoro dell’attuale proprietà, nella quale non mancano accenti vagamente polemici sull’impossibilità di fare calcio nella Capitale, sulle radiofonia locale e sui romani che non scendono in piazza per le buche ma per la Roma (la Costituzione, sia chiaro, non lo vieta). E soprattutto col riferimento a presunte manovre in atto per togliere il club all’attuale proprietà. Tra gli interessati, l’attuale presidente della Sampdoria, Massimo Ferrero (“per un piatto di lenticchie”), e gli emiri del Qatar, autori secondo i due giornalisti, di una “fantomatica offerta”. Quasi a dire che l’attuale dirigenza sia la migliore possibile, salvo voler tornare alla “Rometta” di Anzalone e Ciarrapico. Perché Boninini e Mensurati si spingano a esprimere un giudizio personale e cosa c’entri questa chiusura col resto dell’articolo è un mistero. A meno di non voler pensare (male) a strani suggeritori d’Oltremanica. Gli stessi che – nonostante il ruolo rivestito nei processi decisionali di Trigoria – in 11mila e passa battute non vengono citati nemmeno una volta. Ma sicuramente non è così…

Luca La Mantia

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