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Roma, cronaca di un progetto mai decollato

James Pallotta

(A.Papi) – 18 agosto 2011, la Roma diventa ufficialmente di proprietà della cordata americana capitanata, all’epoca, da Thomas Richard DiBenedetto. 7 anni e mezzo dopo, molte cose sono cambiate come il nome del Presidente, Pallotta, i dirigenti in carica, BaldiniSabatiniFenucci hanno lasciato il posto a Baldissoni (già presente come membro del CDA) Monchi e Totti, con la figura dell’Ad Gandini ancora da rimpiazzare. Proprio la figura di Franco Baldini risulta ancora oggi il più grande equivoco in casa romanista. Un presidente ombra che decide le sorti della società a migliaia di chilometri di distanza e senza aver nemmeno la volontà di impegnarsi a fondo nelle vicende giallorosse (ormai non si contano più le presunte dimissioni nel corso del tempo). Ora, se l’opulenza non è mai stata la dote principale di questa gestione, negli ultimi 18 mesi c’è stata un’inversione di tendenza che segna la pietra tombale sulle presunte ambizioni sportive. Inevitabile negare come la vicenda “Stadio”, con annessi e connessi, abbia rappresentato la principale ragione che ha spinto Unicredit a dare in gestione il club a Pallotta e soci; ma le difficoltà burocratiche e politiche hanno portato il tycoon americano a tirare i remi in barca. Tanto per darne conto snoccioliamo qualche numero: oltre 260 mln di cessioni in un anno e mezzo, non tutti reinvestiti (ultima campagna trasferimenti in attivo per circa 15 mln) e nemmeno un minimo di budget a disposizione per gennaio (i soldi di Strootman dove sono?). Nonostante una pazienza infinita da parte dei tifosi, mai accordata a nessun’altra presidenza così a lungo, la società non è mai riuscita a conquistare il cuore del pubblico giallorosso. Celati dietro un atteggiamento profondamente radical chic, si è sperperato l’amore incondizionato della gente, mai sopito ma scemato anno dopo anno verso una pericolosissima indifferenza. Nemmeno il bagno d’amore della semifinale di Champions dello scorsa stagione ha saputo rappresentare un trampolino da cui lanciarsi verso una competitività solo sbandierata e mai perseguita. L’idea di fare trading sfrenato più che una scelta è un obbligo legato alla mancanza di fondi e la conseguente necessità di fare cassa ne è solo la risposta più stretta (al netto del Fair Play finanziario). Il problema è che gli errori commessi da Monchi hanno finito col tramortire definitivamente le ambizioni di alta classifica. Ora Di Francesco è sul banco degli imputati, così come lo furono Garcia, Zeman e Luis Enrique prima di lui, certamente non esente da colpe ma non unico responsabile di una situazione che si reitera negli anni come in un loop senza fine. Purtroppo anche l’avvicendamento in panchina non servirà a nulla perché il problema è a monte. L’unica cosa peggiore di non avere reale ambizione sportiva è la mancanza di condivisione, perfettamente esplicata dalla lettera dei ragazzi della Curva Sud. Un’empatia mai nata e mai coltivata che rende anche quei bei piazzamenti  ottenuti negli ultimi 5 campionati un’effimera soddisfazione. La via per risorgere è arrivata al bivio: o il core business della costruzione dello stadio decollerà definitivamente fornendo a Pallotta il ritorno economico necessario ad investire sulla squadra, oppure la bocciatura definitiva del progetto porterà ad una cessione a quel punto inevitabile. Ad maiora.

 

GGR

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