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Ma cos’è questa crisi?

Di Francesco

Roma in crisi. Viaggio tra cause e rimedi: c’è da evitare di rovinare la stagione. I giornalisti de “Il Messaggero” (Trani, Ferretti e Angeloni) si interrogano e danno risposte. Eccone alcune:

Quali sono le responsabilità di Di Francesco?
«Non aver detto pubblicamente, come è successo l’anno scorso, in quali ruoli avrebbe voluto i principali rinforzi; non aver difeso il titolare Strootman come fece a gennaio con Dzeko; aver cambiato troppo nelle ultime partite, disorientando la squadra e sconfessando se stesso».

Il mercato è stato sbagliato?
«Più che altro poco mirato all’esigenze dell’allenatore. L’errore più grave: aver ceduto Strootman senza poterlo sostituire. In più dall’estate del 2017 la Roma cerca l’esterno alto a destra di piede mancino. Dopo Mahrez, niente da fare nemmeno con Malcom. L’acquisto andava fatto a gennaio. O quantomeno bloccato il giocatore. Il terzino destro, con Karsdorp in chiaro ritardo, andava preso».

Le cessioni, alcune almeno, erano evitabili?
«Le plusvalenze sono la priorità della proprietà Usa. I migliori, se la società ha l’intenzione di restare al vertice in Italia e in Europa, non si cedono. Se proprio è necessario lasciarli andare, bisogna rimpiazzarli con giocatori dello stesso livello. Spesso non accade».

Di Francesco rischia il posto?
«Attualmente no. Monchi, anche in pubblico, lo difende e lo sorregge. E’ chiaro che i risultati possono complicare la sua avventura a Trigoria. Oggi è sotto osservazione. Più in campionato che in Champions».

L’eventuale cambio dell’allenatore cosa modificherebbe?
«Dipende dal tecnico scelto, ovviamente. La Juve è distante da 7 anni e si è fatto poco per avvicinarla. La Roma spesso è stata più debole dall’anno precedente».

Quali sono le responsabilità della società?
«La rinuncia alla continuità: la rosa viene sempre smontata e rimontata».

Come mai Dzeko ha spesso il muso?
«Forse è il suo carattere o forse non si sente tatticamente a suo agio perché ogni anno deve abituarsi a nuovi compagni. Ma non può e non deve essere un alibi».

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