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DOPO PARTITA La lettura dell’incontro di Paolo Marcacci

esultanza

Che strano andamento hanno le lancette della nostra emotività: inizia ed è interminabile il tempo che hai davanti, poi Jonathan va in goal e sembra che girino all’impazzata. Vai al riposo sotto una mole di malinconia che ce ne vuole a rammentarne altrettanta (nonostante la storia della Roma), confidando in chissà cosa, fosse anche un ingresso di Perrotta. Ma fa più giri una lancetta o una sfera? Dipende dalla carezza. Carezza? Perché cos’altro è il pareggio di Destro? Un pareggio di destro, inteso come piede, ma come fosse la piuma di Forrest Gump, per il giro che prende dopo il suggerimento di Lamela: l’esperanto dei piedi buoni, la lingua universale che però è parlata solo da un’élite. È ciò che inchioda l’orologio di una partita che fino a quel momento aveva fatto scomodare gli aggettivi più brutti e più bruti, se possibile, indirizzati verso una squadra che in maniera imbarazzante stava dilapidando una stagione contro una compagine, se possibile, ancora più imbarazzante. Era in vantaggio un’Inter litigiosa con se stessa (Schelotto), goffa nelle azioni più semplici (Juan Jesus), disperata nel tentativo di premere il grilletto per le ultime cartucce (Rocchi). Poi, appunto, la sfera gira. Per una volta dalla parte giusta. Lì le cose ridiventano normali, proporzionati i valori in campo, grigia l’espressione dei Moratti, come gli occhi di Beppe Baresi che fissano il vuoto, accanto a Stramaccioni che tenta di indovinare la traiettoria dello sguardo. Invece la indovina Torosidis, che fa spiovere il suo uno a tre alle spalle del migliore interista, Handanovic, quello che aveva dato fosforo ai nostri spettri. Dicono che poi abbia segnato anche Alvarez e che nell’Inter abbia esordito Belloni pettinato da Justin Bieber. Consultate i tabellini per sapere se è vero.
Noi, siamo in finale, fratelli.

Paolo Marcacci

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