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DOPO PARTITA La lettura dell’incontro di Paolo Marcacci

Solo chi non conosce la storia della Roma poteva pensare a una partita facile: questa è la premessa d’obbligo per il commento di un pomeriggio reso complicato dal caldo che è in anticipo di un mese, da una serie di disattenzioni individuali più o meno decisive, da una sottile tensione che c’è tra qualche compagno di squadra e che in taluni frangenti si nota anche dalle tribune. Il Pescara della coppia Bucchi-Nobili mostra, come ti sbagli, una concentrazione e un impegno che lo tengono compatto tra i reparti e capace per quanto gli è possibile di chiudere gli spazi ad una Roma che nel primo tempo non sembra dannarsi l’anima per trovarli. Tra l’altro, gli abruzzesi sembrano diventare più tignosi col passare dei minuti; nella ripresa tentano anche qualche sortita in avanti, in qualche caso pure con una certa pericolosità, come ad esempio con Sforzini sia nel primo tempo che nella ripresa.
Il vantaggio firmato Caprari chiude un primo tempo da mugugni e voglia di bibite fresche, oltre che di essere altrove… La ripresa inizia con Destro, in aggiunta a Osvaldo, più Totti, Lamela e alla fine pure Nico Lopez in luogo di Piris…Alzi la mano chi nel prendere atto delle cinque punte in campo non ha pensato almeno per un minuto allo spettro calcistico di Carlitos Bianchi e a quel Roma-Sampdoria di diciassette anni fa… Il pareggio arriva con Destro, su appoggio di De Rossi, oggi in preda a una generosità a tratti deleteria, da dentro l’area piccola: braccia alzate ad incitare la Sud ed uno score che cresce inesorabilmente; ciò che non cresce nonostante l’impegno di Totti ad inventare zolle libere, da rabdomante del suggerimento, è la “manovra” della Roma, ci siano concesse le virgolette: più probabile che si tenti il numero individuale, come prova a fare il tartassato Lamela, piuttosto che uno straccio di azione da imbastire e sviluppare.  Quattro minuti di recupero concessi dall’indisponente Massa, cui il sole preclude la visuale ogni volta che un difensore del Pescara tocca la sfera col braccio: facce deluse e una staffilata del Conejo Lopez quasi oltre la Sud, su punizione generosamente appoggiatagli da Totti. Si sfolla subito, senza neppure dedicarsi ad esternare il disappunto, senza invitare nessuno ad andare a lavorare: forse un segno della crisi economica, chi sa… Note a margine: esordisce il figlio di Eusebio Di Francesco, in bocca al lupo. Per poco non beffa Stekelenburg che per l’occasione regala la parata più difficile, dopo essersi fatto rimproverare più di una volta da Marquinhos e compagni per la timidezza nelle uscite. Doveva essere una formalità, quella del sorpasso alla Lazio, comunque condotto in porto col minimo sindacale a disposizione; si consegna invece agli archivi come l’ennesima, emblematica dimostrazione di una Roma sopravvalutata in più d’un undicesimo, spesso compiaciuta di non si sa bene cosa, costruita con un filo logico che in pochi riescono ad intravvedere, votata ad un futuro forse da riedificare per la seconda volta di fila. C’è la finale di Coppa Italia, è vero, ma arrivarci pensando che sia l’unica cosa importante di qui alla fine di maggio è il modo peggiore di prepararsi ad onorarla.
Paolo Marcacci
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