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Di Francesco sale sul palco per il bis: ecco come può arrivare fino a Kiev

De Rossi e Di Francesco

(U. Trani) – Poche parole, ma inequivocabili: «Chi non ci crede, resti pure a casa». Di Francesco, già a caldo dopo il pesante e rumoroso ko di Alfield, si è pubblicamente rivolto ai suoi giocatori. Il messaggio non è nuovo. Lo usò anche dopo la sconfitta al Camp Nou del 4 aprile. Lo slogan sta accompagnando da martedì scorso la Roma verso la semifinale di ritorno contro il Liverpool. E l’allenatore lo ripeterà ancora, domani sera, ai 18 calciatori giallorossi entreranno con lui nella pancia dello stadio. «Crediamoci», urlerà Eusebio. E indicherà la strada che porta a Kiev, per la finale del 26 maggio. Adesso c’è solo da seguirlo: la Nuova Impresa è possibile. Vale la pena provarci. Il vento dell’Olimpico già soffia forte.

REGOLA DEL 3 – La Roma, dopo aver perso 5 a 2 la gara d’andata, deve vincere almeno 3 a 0. E’ il punteggio esatto che l’ha già qualificata contro il Barcellona. I giallorossi, insomma, non devo guardare a quanto accaduto in passato, ai precedenti più o meno positivi, avendo già dimostrato in quest’annata esaltante di sapere come si fa a rovesciare il pronostico e insieme il risultato. In campionato, per la verità, proprio la sterilità offensiva non ha permesso a Di Francesco di giocarsi lo scudetto con Allegri e Sarri. In Champions, invece, le sue punte hanno sempre fatto centro quando la squadra ne ha avuto bisogno. E’ successo nella prima fase e soprattutto, nel nuovo anno, dagli ottavi in poi. Già in 3 delle 11 partite di questa edizione Eusebio ha festeggiato 3 reti dei suoi giocatori. Il 1° match con il tris è quello che ha poi caratterizzato il percorso in Europa: il 3 a 3 di Stamford Bridge contro il Chelsea, nella notte della svolta. E, sempre ad ottobre e contro i Blues di Conte, il 3 a 0 all’Olimpico per prendersi il 1° posto nel gruppo C e al tempo stesso per avvertire le big del nostro continente. L’ultimo 3 a 0 è quello indimenticabile: nel ritorno dei quarti per mandare a casa Messi. La differenza tra la partita contro il Liverpool e quella contro il Barça è nel risultato dell’andata: la manita di Anfield, anche se è la sconfitta più larga dal 24 novembre del 2015 (6 a 1 in Spagna contro il Barcellona e con Garcia in panchina), è meno definitiva del 4 a 1 al Camp Nou. Perché stavolta la promozione si conquista anche vincendo 4 a 1, punteggio che il 10 aprile avrebbe invece portato soltanto ai supplementari.

PORTA CHIUSA – «Ricordiamoci che Alisson non ha mai preso gol nelle gare di Championsall’Olimpico». Monchi lo disse lasciando la Spagna, subito dopo il ko contro il Barcellona. Il ds, proprio partendo dall’imbattibilità casalinga del portiere, ha spinto il gruppo e motivato l’ambiente. Adesso, dopo la fantastica remuntada del 10 aprile, bisogna riconoscergli di aver toccato il tasto giusto. Alisson, per la verità, non ha poi dovuto fare nemmeno una parata nella seconda partita contro il Barça, certificando così la preziosa cinquina. La striscia iniziò a settembre contro l’Atletico Madrid (0-0) nella serata in cui il portiere fu il migliore in campo e proseguì nelle altre 2 gare della fase a gironi contro il Chelsea (3-0) e contro il Qarabag (1-0). Fondamentali anche i clean sheet del 2018 contro lo Shakhtar (1-0) e appunto contro il Barça (3-0). E’ evidente che mercoledì sera non basterà alla Roma confermare il suo trend nelle partite interne. Ma ripetersi per il 6° e comunque ultimo match in casa di questa edizione potrebbe incidere sul verdetto finale.

IMPRONTA EUROPEA – Più che i numeri, però, conteranno i protagonisti. La Roma, fuori e presto dalla corsa scudetto, sembra più a suo agio in Champions che in campionato. Di Francesco gli ha cucito addosso, cambiando spesso il sistema di gioco, lo spirito moderno ed europeo che, con il pressing e l’aggressività, ha esaltato gli interpreti del suo gruppo che, pur non essendo perfetto, è arrivato fino alla semifinale. Cioè tra i migliori 4 club d’Europa, pur con una rosa sicuramente inferiore a quelle di chi è già fuori dalla competizione come il City, lo United, il Psg, il Chelsea, la Juventus e ovviamente il Barça. I senatori, con Dzeko in prima fila, e anche i meno esperti hanno fatto la differenza in questa Coppa. A guidarli il debuttante Eusebio che è l’unico tra i 4 allenatori delle semifinali a non aver giocato la finale. Mai dire mai, però. Almeno fino alla notte in cui batteranno forte più di 60 mila cuori giallorossi.

Fonte: il messaggero

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