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CORRIERE DELLO SPORT Ormai il tifoso detta legge su ogni cosa

Curva Sud Roma

(G. Dotto) – Storie di ordinaria e non più sostenibile schifezza. Gli ultrà del Brescia pretendono e ottengono l’allontanamento del vice allenatore Fabio Gallo perché, diciotto anni fa, da giocatore, avrebbe detto qualcosa di “oltraggioso” su di loro. A Riscone di Brunico, il “benvenuto” a Rudi Garcia. Appena vestito di giallorosso, palesemente fiero di esserlo, e subito insultato. Perché? Per aver osato affermare la più ovvia e, oggi, la più scandalosa delle verità, e cioè che i tifosi devono voler bene alla propria squadra. Gallo si è dimesso, Garcia ha replicato per le rime, mostrando la personalità che serve e chissà se basterà. Auguri. Ne ha bisogno.

Che cosa tiene insieme le due storiacce? E tante altre di questi tempi, dalla gogna pubblica dei giocatori del Genoa costretti a sfilarsi le maglie, ai ricatti ai presidenti, alle aggressioni nei ritiri. Un cancro sta ammazzando il nostro calcio (insieme alla pochezza di dirigenti che, più ciechi di una talpa, più avidi di uno squalo, più vanitosi di una scimmia, non si rendono conto che la torta è alle briciole): la soggettività imperversante del cosiddetto “tifoso”. Il suo sentirsi autorizzato a vomitare veleno su tutto e tutti. E basta con la storiella idiota della “minoranza”. E’ vero, sono una minoranza ma, per come funziona oggi il circuito mediatico, questi imbecilli sono sempre nei titoli. Imbecilli titolati.

Che sia carta, radio o web, non conta, tutto comunica, circola, travasa, passa, senza filtro alcuno, da un vaso all’altro. Loro lo sanno e ne abusano. Gli basta alzare la voce, buttare giù uno slogan, uno striscione, voilà, il gioco è fatto. Un gioco sporco. Il lessico è pronto. Non meno sporco. “Infami”, “vermi”, “indegni”. La violenza non è più eclatante negli stadi, ma si è trasformata in una nube pestilenziale, marcia, più sottile, ma non meno nefasta, che si alimenta di negatività e di cattivi umori. La soggettività del tifoso impera, detta legge, decide chi e cosa celebrare, chi e cosa linciare, dirigenti, allenatori, giocatori, quando esultare e quando odiare. L’odio è prevalente. La prevalenza dell’odio sa di morte. E gli stadi si svuotano. Non più riconoscibili come luogo del rito felice che ci ha aiutato a vivere.

La Roma romanista è diventata un laboratorio privilegiato, si fa per dire, di questa peste. Insulto, dunque esisto. Il caso De Rossi è una vergogna. Costretto a scappare dalla città e dalla squadra che ha, aveva, nel sangue. Il derby di Coppa Italia. Hanno perso, devono chiedere scusa. Incredibile. Non hanno perso perché sono stati quel giorno inferiori alla Lazio, succede, è lo sport. No, hanno perso perché sono “infami”, “ridicoli”, indegni”. C’è uno schizzo di fango per tutti. Non si salva nessuno. E mai nessuno che si vergogna. Via Baldini, l’odio è tutto per Sabatini. Massacrati Louis Enrique, Zeman e Andreazzoli, già tocca a Garcia. Nemmeno arrivato e c’è già qualche tribuno microfonato che molla il suo grandioso peto con cui tornare a casa tronfio e felice: “Garcia deve andare via”.

La nuova maglia. La Roma presenta una maglia di strepitosa bellezza? No, non va bene. Mazzate anche lì. Parte a comando il passaparola, lo stemma diventa una guerra di religione. Roma, la Roma, sta diventando una landa desolata da cui tutti vogliono scappare. Scapperà anche Garcia, vedrete. Quando si renderà conto dell’imperforabile ottusità che lo circonda. Che in gioco non è il bene o il male della Roma. Che la Roma è solo un pretesto per alimentare l’ego surriscaldato di certi personaggi. Che non sono tifosi e nemmeno laziali, ma disperati che hanno piantato abusivamente un’insegna su quella terra di nessuno che è la loro vita. E poi? Dopo Garcia, proviamo con Serse Cosmi.

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