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IL ROMANISTA. “Luis Enrique sta andando oltre le aspettative”

Luis Enrique

(P.A.Coletti– Manca un giorno alla vigilia. È il momento degli auguri. Auguri speciali, auguri giallorossi. A farli a tutti i tifosi romanisti è Franco Baldini, in una lunga intervista a Roma Channel.

C’è da festeggiare il Natale, ma soprattutto la definitiva nascita della “new era” romanista, corroborata dall’ultima vittoria di Bologna.[…]

Il momento è finalmente positivo.

Non ci allarghiamo.

Il dirigente deve vedere oltre il risultato?

Ovviamente il risultato ha questa facoltà magica di dare una luce alle cose. È più facile sicuramente parlare dopo una grande vittoria, come quella contro il Napoli. Anche nei momenti in cui il risultato non veniva, come a Udine e Firenze, si poteva comunque giudicare la squadra per il gioco espresso. C’era già una base che si sta rivelando molto buona.

Si parla di italianizzazione.

Luis Enrique sta giocando nello stesso modo in cui giocava all’inizio. Poi certo, cambiano gli interpreti. Il possesso palla è rimasto lo stesso, siamo calati contro Napoli e Juve solo perché sono due grandi squadre. Il mister sta facendo un percorso personale, non dimentichiamoci che è al primo anno. Sta andando al di là delle aspettative.

Qual è stata la sua prima sensazione, il suo primo istinto tornato qui?

Un istinto di sopravvivenza. Mi sono quasi impedito di pensare alla nostalgia che mi provocava rivedere i campi, perché sentivo montare dentro questo impatto forte, questa emozione che fai fatica a gestire. Mi sono costretto a pensare «lascia stare questo, ci sono 10mila problemi da risolvere», quando vinci sembrano sparire, ma invece sono sempre lì, anche latenti. Il risultato dà una visione sempre limitante.

C’è stato anche il diluvio universale nella sua prima conferenza.

Forse è soltanto una pioggia che ha lavato via tutto quello che non ci doveva essere più.

Cosa ha provato nel gestire quella platea nella sua conferenza stampa di ritorno alla Roma?

Non è stata una bella esperienza, avrei voluto non esserci. A Roma sarebbe meglio prima fare, che parlare. Certo, poi i ruoli ti obbligano a parlare. Ci sono più cose da fare che da dire. A me gli spot elettorali piacciono poco, ovviamente ci sono nodi da chiarire, cose da spiegare. Tante piccole cose le avevamo già fatte, i biglietti, l’ecommerce. Cose che danno al calcio un’altra dimensione, cose che ho visto in giro per il mondo.

Molte iniziative rivolte ai tifosi.

All’estero sono stato traumatizzato. In Spagna e in Inghilterra ho visto come si vive la domenica allo stadio, le persone mischiate che fanno la stessa fila, con tutta la serenità del mondo. Sugli spalti poi restano gli sfottò, per carità. L’evento è vissuto tutto il giorno, mangiando una cosa. Si vive in un posto in cui c’è festa.

Nella conferenza di presentazione disse di non sapere dove trovò la voglia di tornare a Roma. Ad oggi si è dato una risposta?

Più ci penso e meno la trovo. Dici di sì, ma poi ti arrendi all’evidenza che ti dice che l’hai fatto e basta, senza motivo. Sono nel posto in cui volevo essere. Il perché è un particolare.

Hai avuto grandi esperienze all’estero.

Le esperienze mi hanno dato molto di più del poter dire “sono stato al Real e alla federazione inglese”. Vivere il calcio a questi livelli di godibilità e di civilità è qualcosa di splendido. Vedremo se riusciremo a farlo anche qui.

I punti più alti e più bassi delle due esperienze?

Quando Capello è stato sul punto di essere esonerato, poi da lì in poi abbiamo vinto lo scudetto. Con la federazione, le qualificazioni ai Mondiali senza mai essere sconfitti il punto più alto, quello più basso l’eliminazione bruciante contro la Germania.

Da Capello a Luis Enrique.

Sono due allenatori che rappresentano due direzioni diverse. Capello ha un carisma straordinario, indiscutibile. Con Luis Enrique serviva di iniettare un po’ di sangue fresco al gruppo, un tipo di gioco nuovo, godibile. Si cercava di costruire qualcosa di attraente, magari non sempre dal punto di vista del risultato, un gioco offensivo con un’identità definita con cui poi fare i doverosi innesti.

Capello ha detto che non allenerà più in Italia. Ci crede?

Sì, ne abbiamo anche parlato, ha rifiutato molte offerte. Certo, nel calcio mai dire mai.

Si è trovato bene all’estero?

Per quello pensavo di restare. Ma talmente tanta è stata la sofferenza nell’ascoltare, nel dover sorbire per lavoro un sacco di cose dette in malafede che ho pensato “Se dovesse esserci un po’ di gioia, la soddisfazione sarebbe doppia”. In questo posto o è tutto brutto, o tutto bello. Il livello di emozioni fuori di qui è più equilibrato, non c’è il baratro, nè l’apice.

Ha detto che in Inghilterra poteva più facilmente ritagliarsi i suoi spazi.

Roma ti devasta, perché anche quando ti ritagli qualche ora dopo cena, poi dall’ufficio stampa ti riportano tutto le notizie che escono, non è vita. In Inghilterra non c’era l’impegno quotidiano, passavo qualche ora in ufficio la mattina per organizzare e vedere cosa facevano l’Under 17, piuttosto che la 19 o la 20 o la 21, qualche riunione con gli allenatori, organizzare gli scout per il week-end successivo, durante la giornata avevo un sacco di tempo libero e a Londra puoi utilizzarlo al meglio.

Shakespeare disse: “Presta il tuo orecchio a tutti, la tua voce a pochi”Ha prestato il suo orecchio durante la sua assenza?

Ognuno di noi si lamenta delle critiche che fanno male. Le critiche sono il termine di confronto con cui ti devi valutare. Ti servono per migliorare quelle cose che pensavi di aver fatto bene. Hanno un’utilità, pur rimanendo un bel fardello.

Come ha ritrovato il calcio italiano?

Sono appena rientrato, devo ancora andare in Lega. Ho una vita più di club, devo comunque dire che negli stadi in cui abbiamo giocato, la Roma è accolta bene e di conseguenza ne godiamo anche noi dirigenti. Forse la Roma non fa ancora così tanta paura.

Si parla di tavoli della pace.

Le cose bisogna farle, più che dirle. È tutto lì il segreto, penso all’Inghilterra, lì si sono abituati alla pioggia, non si sta a riflettere se uscire o meno. Se riusciamo a rendere lo stadio un luogo senza rischio, l’uomo si adatterà anche a questo. Non c’è da dirlo, tutti i giorni si fa qualcosa, penso allo sportello del tifoso.

Cosa ha provato quando è scomparso Franco Sensi?

Presi un aereo per venire ai suoi funerali. Non è retorica. Io non so se rendergli merito o colpa, ma quello che ho fatto nel calcio è stato una sua idea. Mai avrei pensato di diventare un dirigente, di poter essere parte di una squadra. Fu lui che volle coinvolgermi, presi Paulo Sergio, poi Konsel. E così accettai di lavorare solo per lui. Poi certo mi sono aggiornato, ho studiato, mi sono addirittura laureato, mi dicevano “dottore” senza esserlo. Il mio percorso mi ha permesso di farmi trovare pronto. I pranzi col presidente sono ricordi meravigliosi.

Sul discorso Calciopoli non vuole mai tornare.

Su questi argomenti non si vince, magari si perde meno degli altri. Ho partecipato nelle sede competenti, è un argomento che resta confinato in quelle aule.

Questa filosofia di fare e parlare un po’ meno, è una strategia americana?

Era uno dei presupposti che mi ha fatto pensare di accettare o meno. Di diverso rispetto a quella che era la concezione comune. Questo tipo di gestione lo sta confermando.

Nel Cda della Roma ora sarà più presente Pallotta?

Ci è sempre stato, è una cosa programmatica che sarebbe avvenuta nei tempi stabiliti. È un naturale svolgimento dei temi iniziali. Non c’è mai stata nemmeno la più lontanissima ipotesi che DiBenedetto non andasse bene. DiBenedetto è stato il collante tra i vari soci. DiBenedetto è il presidente della Roma, poi quando la cosa avrebbe preso corpo si sarebbero palesati gli altri soci.

Quella famosa battuta su Totti in estate è stata strumentalizzata?

Credo anche io che lo sia stata. Se non c’è onestà intellettuale ma un po’ di malafede, le parole sono sempre addomesticate, c’è sempre la possibilità di renderle con un altro sapore.

De Rossi?

Mi ha dato una bella sensazione, una persona pura. Nonostante le idolatrie, ha un’identità ben definita. È una persona di cui la Roma ha bisogno. Lo avevo lasciato ragazzino, con tutti i suoi progetti, l’ho trovato uomo.

Dove colloca Daniele?

Gerrard è fantastico, Lampard altrettanto, ma io sono attratto da Rooney. Io ho questa debolezza verso il talento. Sono attratto dal talento e dalla padronanza tecnica. Continuo a preferire questo tipo di giocatori. Detto questo Daniele ha qualcosa in più, lui passa in maniera disinvolta da mezz’ala a interno di destra fino alla difesa. Però è difficile dire chi è superiore.

Ci siamo sul contratto?

Mi avvalgo della facoltà di non rispondere.

Cosa augura ai tifosi della Roma?

Auguri di un sereno natale a tutti i nostri tifosi, in particolare alle famiglie, di cui ci dimentichiamo spesso. A loro abbiamo anche dedicato un settore dello stadio.

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