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IL TEMPO Loro disperati cercano di consolarsi. Per noi è solo una tappa intermedia

Balzaretti Garcia

(G. Sanzotta) Se Dante avesse conosciuto i laziali avrebbe certamente trovato un girone adatto a loro. Forse li avrebbe lasciati in Purgatorio con gli invidiosi, oppure visto che adesso il Purgatorio non è più di moda li avrebbe mandati all’Inferno. Il fatto è che per loro il derby è la partita, l’aspettano per mesi, una vittoria diventa la vittoria. Si sprecano i riferimenti alla storia, fino a coinvolgere impropriamente l’aquila delle legioni romane. Del resto hanno il presidente che si meritano, lui con il suo latinorum e i tifosi con la Storia formato Bignami. La realtà è che, così lontani dal Paradiso, aspettano questa gara caricandola di tutti i significati che non ha.

Per noi romanisti invece è solo una necessità. La tappa di un percorso ben più ambizioso di una bandierina da sventolare entro il Raccordo Anulare o tra i paesi della provincia, quelli dove ancora sbiadite si leggono le scritte che inneggiano a Lulic, un Carneade di cui si parla per una rete segnata in una serata di maggio. Vivere di ricordi può anche essere tollerato, pur essendo un po’ patetico, a chi ha qualcosa da vantare del proprio passato. Ma la Lazio di cosa dovrebbe andare fiera? Delle undici retrocessioni? O di quella rete che la salvò dalla serie C?
Pensiamo a oggi. Noi abbiamo il dovere di credere ancora allo scudetto, la Roma è la sola squadra che può cercare di fermare la corsa della Juventus. Dobbiamo uscire imbattuti da Napoli per giocarci la finale di coppa Italia. La gara con la Lazio, se dipendesse soltanto da noi, varrebbe tre punti e nulla più. Il nostro vero derby è con la Juventus, l’aspettiamo all’Olimpico alla fine del campionato sperando sia la partita decisiva per lo scudetto.

E loro? Il solo obiettivo rimasto è la salvezza, traguardo a portata di mano dopo il ritorno di Reja. E poi c’è questo incubo costante da esorcizzare, un incubo con i colori giallorossi. Così la vittoria sarebbe la panacea per nascondere la realtà. Un po’ come fanno quelle persone che bevono per dimenticare. La sera fanno il pieno di grappa e così non pensano alle angosce della loro vita. La mattina si svegliano e le ritrovano tutte. Così adesso i laziali cercano questa sbornia. Si illudono che basti la parola derby per azzerare i valori, per trasformare l’acqua in alcol. Fanno finta di preparare chissà quali alchimie tattiche per fermare la squadra di Garcia e così cercano di nascondere il campo di allenamento con dei teloni. State tranquilli, non ci sono spie. Sono inutili. Per fermare Gervinho non basta il doposcuola per Biava o Dias. Servirebbero i Nocs.

Così continuate le vostre masturbazioni mentali sulla squadra nata prima, le vostre certezze scovate tra carte ammuffite del passato. Se vi fa piacere chiamatela anche storia. Invece di giocare in uno stadio, affittate un museo, non guardate la classifica, non pensate alle prospettive, ma con il pallottoliere ricontate le reti di Piola, scrivete cento volte 26 maggio. Fate pure, a noi interessa il presente. Tanto è vero che non mi fermo più di tanto a ricordare quel 5-1 con quattro reti di Montella, ma voglio vincere domani per la classifica e anche per farvi stare un po’ zitti. So che sarà fatica vana, continuerete a definirvi la prima squadra della Capitale, anche se, per tutti, in Italia e all’estero, la Roma è la squadra di Roma. Non c’è bisogno di spiegarlo a nessun appassionato in ogni parte del mondo. Quando all’estero danno i risultati del campionato, per la Lazio devono mettere il sottotitolo. Conoscete qualcuno che per spiegare dove è nato dice: sono laziale? Roma è la Roma. Nella vita c’è chi sta sopra e chi sta sotto. Chi partecipa per vincere e chi rosica. Come diceva il marchese del Grillo: io so io e voi nun siete un…. Sarà opportuno ricordarvi che le gerarchie vanno rispettate, anche in democrazia.

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