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DOPO PARTITA La lettura dell’incontro di Paolo Marcacci

Gervinho

È uno stadio d’amore, quello che accoglie Roma e Juventus: istantanea del meglio che offre oggi il calcio italiano e al tempo stesso cartolina sbiadita dei “tutto esaurito” che furono.

L’ideale dell’ostrica: non era soltanto una trovata poetica di Giovanni Verga, ma anche l’atteggiamento trapattoniano 2.0 che sceglie Conte per proteggersi: Juve raccolta a guscio dietro la linea della palla, a schermarsi persino dalla pioggerella insistente. Rispetto al sabato che anticipò la Befana, manca la Befana, stavolta: la Roma si prende il pallino ma non fa regali, si garantisce una spinta che cresce nella seconda parte del primo tempo e dosa gli equilibri con un centrocampo a metronomo. Rispetto alla serata dello “Juventus Stadium” c’è un Nainggolan in più, che proprio dopo quella sera venne regalato alla gente giallorossa. Guardate il modo con cui fa girar palla e poi pensate bene se è il caso di continuare a definirlo semplicisticamente “mediano”.

Di eclatante c’è poco, alla fine dei primi quarantacinque e quel poco – poco se rapportato a una costante pressione romanista – veste di giallorosso. Conte rispunta dal sottopassaggio con la chioma umida – ma impermeabile – e senza Giorgio Chiellini. Garcia scrive fino ai due terzi di partita e dopo settantacinque minuti sceglie la qualità di Pjanic in luogo del moto perpetuo di Florenzi. Poco dopo esce Giovinco – molto rumore per nulla – e dopo un rimprovero di Conte fa in modo a godersi, tra il minuto 78 e il 79, Pjanic mani di velluto in anticipo; portamento regale palla al piede, cioccolatino per Strootman lungo l’out sinistro: l’olandese dal ghigno satanico ci arriva e col sinistro rimette in mezzo, dove…Sembrerebbe Gervinho quello che impatta la sfera con una specie di zampata da capoeira: non è esattamente così, è Gervinho che anticipa anche se stesso, dunque qualcuno e qualcosa in più; Storari sente prima il fremito della rete e soltanto dopo si rende conto di cosa sia accaduto.

Nel mentre, Gervinho che era corso per esultare si ritrova a fare l’amore con la Sud: l’orgasmo è multiplo perché si ritrovano tutti a letto sulla pista d’atletica. La Juve è una guardona malinconica, nell’occasione. Uno a zero, senti come suona, suona come il piede di Ljajic e quello di Pjanic, come un vaffanculo al guardalinee, come la “o” che si dilata nei cori della Sud. Quanta Juve che si ritrova dentro, nel frattempo: Quagliarella, Llorente, Tevez…Occhi chiari e occhi scuri, tutti alla fine con la stessa lacrimuccia.

Finisce con Vidal che ringhia, ma non lo sente nessuno.

Il triplice fischio si specchia negli occhi di Totti.

Quand’è così, non è Coppa Italia: è l’ombelico del mondo.

Paolo Marcacci

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