
Non entra, invece, nelle questione tecniche e non chiama in causa alcun giocatore della rosa, nemmeno capitan Totti: non è ancora il momento per dire chi va e chi resta, chi promuove e chi boccia. Indica gli obiettivi, quelli falliti in questi due anni: per primo quello del ritorno in Europa. E racconta qualcosa di sé. Il suo curriculum arricchito dalla gavetta fatta anche come preparatore atletico in attesa di scoprirsi allenatore, capace di vincere titolo e coppa in Francia. Il suo metodo dentro lo spogliatoio: grande apertura al dialogo con i calciatori. E’ addirittura semplice quando ricorda che il suo calcio è offensivo ma anche difensivo. Quindi equilibrato prima che spavaldo. Ride felice chi è accanto a lui: James Pallotta, davanti al nuovo logo che piace a pochi, lo considera il suo primo tecnico, prendendo le distanze dagli altri che lo hanno preceduto Luis Enrique e Zeman, come se quelli non fossero stati tecnici chiamati dall’attuale proprietà. Il presidente aggiunge che il nuovo stadio sarà il più bello d’Europa.
Il CEO Italo Zanzi, presentando il primo allenatore francese della storia della Roma, è più raggiante di Pallotta, come se non avesse respirato ultimamente l’aria pesante di Roma. Il ds Sabatini è almeno realista e non dimentica il passato. Nemmeno quello recente. Spiega che Garcia è la sintesi di due colleghi, l’asturiano e il boemo che oggi non ci sono più, colpa dei risultati scadenti. Non commette l’errore di dire che questa è la prima scelta della Roma: almeno cinque hanno detto no. Ma questo ormai non conta. E fa bene a ricordare che è stata la voglia del francese a convincere il club giallorosso. Che adesso ha il compito più duro. Ridare entusiasmo a una tifoseria delusa e stordita.