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Il Tempo Laziali picchiati, 13 romanisti in libertà

(A. Ossino/E. Lupino) «Erano una decina, tutti con le magliette della Lazio a cantà cori. Niente, te lascio immagina il seguito…Semo partiti fratè, sfonnati, non puoi capire. Biciclette che volavano. Io ho tirato un secchio della monnezza su un tavolo…Ne ho sbragati 3…Bellissimo». L’indagine appena conclusa dal sostituto procuratore Eugenio Albamonte non aveva portato solo al fermo di 13 tifosi della Roma che sarebbero coinvolti nell’aggressione il 31 marzo scorso ai danni di alcuni turisti svedesi, colpevoli di aver indossato una maglietta azzurra quando mancavano pochi giorni al derby Roma-Lazio. Dalle intercettazioni era emerso lo spaccato di un mondo dove la violenza calpesta lo sport, e i cori da stadio lasciano il posto a manifesti programmatici e chat in cui gli indagati si sarebbero organizzati per mettere a punto la loro strategia, spesso criminale.

La decisione del Tribunale delle Libertà, che ha annullato le misure cautelari, non va però nella stessa direzione delle accuse. «Il Riesame ha annullato l’ordinanza in quanto – spiega l’avvocato Lorenzo Contucci – ha ritenuto non sussistere l’aggravante della minorata difesa». Ma la procura sostiene che gli indagati, da Roma a Madrid passando per Vienna, «hanno mostrato un forte spirito corporativo, una coesione che sarebbe degna di ben altre attività, oltre che una capacità, pure economica, di seguire la propria squadra in trasferte anche all’ estero, ovviamente con finalità tutt’altro che sportive, ma in ogni caso violente e consapevolmente criminali».

«Molti ragazzi hanno vissuto per la prima volta dei momenti di tensione e si sono comportati bene – racconta in una chat uno dei tifosi coinvolti -. Quindi avanti cosi fianco a fianco, partita dopo partita per crescere ancora. Oggi eravamo 300, domani saremo 500. Orgogliosi di noi e di quello che abbiamo costruito. Non si molla un centimetro». «La coesione del gruppo, la forte determinazione e la progettualità di reiterazione delle azioni delittuose», si evince anche da quello che gli inquirenti definiscono «un manifesto programmatico». Ecco il contenuto: «Questa chat è stata fatta perché ognuno che ne fa parte crede in questo gruppo e in quello che si sta facendo. Far parte di un gruppo significa sacrificio… Significa credere in quello che si fa. Se in questo gruppo qualcuno non ha voglia o gli e passata o vuole farsi le trasferte tranquillamente per conto suo non c’è nessun problema…Può uscire senza nessuna costrizione da parte di nessuno. Ma se si sta qui sopra ci si sta in una certa maniera. In una certa maniera significa dare la propria disponibilità, rinunciare se serve a una serata in discoteca o qualsiasi altra cosa. Se qualsiasi persona che sta qui sopra ci ha ripensato e non se la sente, nessun problema, ripeto. Per chi rimane mercoledì tutti presenti (…). Tutti!!!! Così da cominciare a conoscervi per cominciare a viaggiare spalla a spalla in tutto!!!».

Il gruppo richiede una disponibilità totale, specialmente prima della partita contro la Lazio: «Prima del derby tutti devono essere presenti e non si accettano giustificazioni ameno che non ci siano casi specifici», scrive uno dei leader. E poi ci sono gli ordini: «Non voglio vedere postato su Fb il giorno della trasferta foto dentro o fuori lo stadio (…) non se va a da na scampagnata de pasquetta (…) senza volerlo diamo una mano ai caschi blu». Nel descrivere quell’aggressione ai danni dei tifosi svedesi, il pm sottolinea il «modus agendi da branco, studiato, coeso, programmato, per realizzare azioni connotate da assoluta gravita ed efferatezza». Del resto «quello oggetto del presente provvedimento – si Legge negli atti – non è stato certamente l’ultimo degli episodi nei quali il gruppo si è contraddistinto per la gratuita violenza, dato che certamente non sorprende perché si tratta della mera attuazione del programma riportato».

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