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Ma ora non dimentichiamoci l’Olimpico

(M. Lodoli) – E così, dopo mille polemiche, ripensamenti, rilanci, marce indietro e fughe in avanti, alla fine lo  si farà. Non avrà accanto le avveniristiche torri di Daniel Libeskind, ma una serie di casupole basse e insignificanti. Sarà il nuovo tempio del calcio romanista, meta di tifosi sbandieranti e incolonnati sulla via del Mare o su qualche altra strada tutta ancora da inventare. E poi, inevitabilmente, ci sarà anche lo stadio della Lazio, perché non si possono fare ingiustizie, non si può dividere la città in figli e figliastri: Lotito busserà forte al Comune per ottenere i permessi tante volte negati e da qualche parte, a Nord di Roma, presto o tardi crescerà anche il nuovo stadio biancazzurro su cui volerà l’aquila Olimpia o la sua nipotina.

Ma a questo punto nasce inevitabile una domanda: e il buon vecchio stadio Olimpico, che fine farà? Sembra che non interessi a nessuno il suo destino: per il calcio non va bene, il campo è circondato dalla pista di atletica, la partita dalle curve si vede male, al massimo può ospitare il Golden Gala in un sabato di giugno, magari un concerto di Vasco Rossi o degli U2, un raduno dei Testimoni di Geova, una partita di beneficenza della squadra dei cantanti o degli attori. Io temo che nel giro di poco tempo diventerà un rudere dimenticato in mezzo alla città, proprio come è accaduto allo stadio Flaminio. Lo guarderemo come un’astronave arrugginita posata nel nulla, come un tempio atzeco perso nella boscaglia, come un catino desolato dove cresce solo l’erbaccia. Sarà una reliquia storica divorata dall’incuria, dall’oblio, dalla sfortuna. Sarà triste teatro di raid notturni, di vandalismi e distruzioni. Grande e grosso come un gigante buono, cadrà nel baratro della desolazione. Qualcuno proverà a rassicurarci, dirà state tranquilli, all’Olimpico faremo mille manifestazioni, sarà la sede di mille associazioni sportive, resterà un punto di riferimento sulle sponde eterne del Tevere, ma già sappiamo che la sua storia è segnata, esattamente come quella del fratellino Flaminio. Tante promesse e una sola verità: un declino miserabile. Tutti quanti abbiamo voluto bene all’Olimpico, da bambini abbiamo passato tante belle domeniche sugli spalti scoperti, sotto il sole a picco o la pioggia battente (e quando la pioggia cessava, sempre si alzava un grido per invitare i tifosi a chiudere gli ombrelli: “Daje che ha spiordo!”), e poi tante altre dopo la ristrutturazione per i mondiali del Novanta, questo stadio è stato ed è ancora un luogo del cuore, vivo e vibrante. Perciò non vogliamo che finisca in malora, disprezzato, rifiutato, degradato ignobilmente. Salviamo l’Olimpico, vi prego, impediamo che divenga un rottame vergognoso, uno scatolone sgangherato pieno solo di ricordi e di macerie.

fonte: La Repubblica

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