La Repubblica Vero Strootman, il segno sul derby degli incubi laziali

(M. Pinci) Se gli avessero dato carta e penna per scrivere il finale della propria storia, forse l’avrebbe dipinto così. Con quella corsa verso una curva vuota e piena a metà dopo aver deciso il primo derby dal suo ritorno in campo. E cosa c’è meglio di un derby, uno di quelli che valgono un posto in Champions, per tornare a essere Kevin Strootman. Serviva lui per sbloccare un derby immobile, per confermare che all’Olimpico la Roma non stecca mai: 8 su 8. E che per la Lazio, a 1288 giorni dall’ultima vittoria, questa partita inizia a diventare un problema.

Soprattutto, il 2-0 romanista restituisce a Spalletti due colonne che rischiava di perdere. Nainggolan, di cui per un po’ si parlerà per il gancio da ko a Marchetti che chiude la partita e il balletto tra Immobile e Lulic, e non per i balli notturni al Gilda. Ma soprattutto gli ridà il vero Strootman. Era arrivato nel 2013 dopo un altro derby, quello che aveva consegnato la coppa Italia alla Lazio. Da quel giorno in poi però la Lazio non ha più vinto, ha perso 5 volte su 7, ha trasformato il trionfo in un tabù. L’ultimo incubo ha il volto segnato di chi ne ha viste molte. Ma a Strootman serviva un gesto eclatante per mettersi davvero alle spalle i tre interventi chirurgici al ginocchio, il terrore di smettere dopo aver scoperto di doversi operare ancora, quando invece era pronto al rientro. Glielo ha offerto personalmente Wallace, che di nome fa Fortuna.

Quasi che la sorte volesse far capire a Kevin che la ruota ha girato davvero. Wallace che inspiegabilmente prova a dribblarlo con un numero circense al limite dell’area, iscrivendosi inconsapevole a quel ristrettissimo club di eroi al contrario, da Paolo Negro a Marco Lanna. Strootman che gli sradica il pallone dai piedi, come avrebbe fatto prima di frantumarsi il crociato quasi tre anni fa. E poi lo deposita morbido, alle spalle di Marchetti. È l’istante che spacca in due il derby e forse tanta gioia dopo tanto dolore fatica pure a controllarla, l’olandese. Che cede al lato oscuro della sua luna, quando rientrando dopo la corsa folle per festeggiare, intercetta un battibecco tra Cataldi e Rüdiger e pensa bene di schizzare il laziale con la bottiglietta d’acqua da cui sta bevendo. Scintilla che istiga la reazione (Cataldi lo prende per il colletto alle spalle), la rissa collettiva, l’espulsione del rivale. «Non mi ricordo bene cos’è successo», dirà alla fine Strootman, tradito da un sorriso. Quello di chi ha vinto una partita che la Lazio pensava di dominare dopo pochi minuti e che ha finito invece per perdere malamente. Pagando l’inesperienza d’Inzaghi: coraggioso prima, nello scegliere tre punte vere sacrificando de Vrij. Ma ingenuo a non capire che Spalletti stava giocando al gatto col topo. La Roma si prende il derby e vince la prima partita di un mini girone-scudetto, che la metterà di fronte al Milan tra 7 giorni e alla Juve il sabato successivo. «Abbiamo battuto la terza, ora affrontiamo la seconda e poi la prima: sembra un mondiale», sorride De Rossi. Pensando forse a quello che vinse dieci anni fa.

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