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LA REPUBBLICA Totti, Spalletti, Pallotta. E’ tutto negli ottonari

Totti e Pallotta
Totti e Pallotta

(G. Mura) – Otti, etti, otta: questa è la parte finale dei cognomi dei tre attori principali. Mi sono divertito a immaginare la telenovela come l’avrebbe raccontata, ovviamente in ottonari, il Corriere dei Piccoli. “QuiPallotta, a te Spalletti. Cosa ci eravamo detti? Number ten meglio che smetta, ma il testone non accetta”. “Qui Spalletti, a te Pallotta: è una patata che scotta. Sembro il solo contro Totti, tu stai in Usa e te ne fotti”. “Qui Pallotta. Dico al coach che non è un film di Ken Loach. Serve un taglio molto duro per sperare nel futuro”. “QuiSpalletti: presidente, ma con lui ci sta la gente. Io capisco il taglio duro tra il passato ed il futuro ma c’è pure, ora, il presente. O facciam finta di niente?”. “Qui ex Pupone, m’intrometto e col cavolo che smetto. È un ragionamento degno perlomeno finché segno. Quando gioco mi diverto e io gioco allo scoperto”. E Pallotta disse: “(omissis), questo appena entra segna e levarselo di torno non sarà cosa di un giorno”. “Parla Totti, il capitano. M’avvicino e m’allontano. Tengo stretto il mio giocattolo come noci lo scoiattolo”. Va Pallotti con Spallotta, Tetti guarda, gioca e lotta. Referendum: no o sì? O piuttosto wait and see? A chi sta dentro Trigoria, a chi ha perso la memoria, a chi mostra troppa boria, a chi sta fuori Trigoria, a chi mangia la cicoria, a chi ha già scritto una storia, quattro Pateravegloria.

Quest’avvio allegrotto me lo sono permesso perché non è ancora realtà un titolo del Corsera: “Il capo-ufficio sarà un robot”. Inizio del pezzo da New York: “Non temete: vivremo in un mondo sempre più dominato dalle macchine, ma i robot non avranno il sopravvento sull’uomo. Dovremo, però, abituarci all’idea di lavorare avendo come capo un computer”. Hai detto un prospero. L’intervistato è Pedro Domingos, che ha scritto “L’algoritmo definitivo” e ribadisce: «La tecnologia non è una minaccia». Lo so che non è una minaccia, è una condanna. Se ha un vantaggio è quello di semplificare i calcoli. A Italia Oggi, per esempio, hanno calcolato che Repubblica del 1° aprile aveva 305.000 caratteri, tempo di lettura 6,30 ore. Mentre il Corsera di non so che giorno (485mila battute) avrebbe richiesto 10,30 ore di lettura. Titolo: “Giornali ammalati di troppismo”. Calma, vediamo di ragionare. Detto così, si è indotti a pensare che per leggere un quotidiano bisogna andare in ferie o dedicargli una bella fetta di giornata. Invece no: un giornale è come un menù al ristorante, leggi (mangi) solo quello che t’interessa. E con un robot capo-ufficio temo che la pausa pranzo sarà accorciata di molto. Ma voi conoscete qualcuno che legge tutto il giornale, quale che sia, proprio tutto?

Io no, ma a leggerli con una certa attenzione si possono prendere iniziative. Oggi, Rip a le, inteso come a lei e non come articolo. Due segnalazioni nello stesso giorno. Gazzetta, sommario sul pugile Ricci: “Picchia una donna e gli sequestra il figlio”. Qn, sulla maestra di Rimini che picchiava i bambini: “I carabinieri l’hanno ammanettata notificandogli gli arresti domiciliari”. Venerdì prima puntata del Rischiatutto, Fazio legge una domanda che riguarda «un murales sul lungo Tevere». E il Signor No non interviene. Mentre intervengono tutti se Piercamillo Davigo dichiara che i politici rubano più di prima, solo che adesso non si vergognano. Ai tempi di Breznev circolava un libretto (rosso) di barzellette sull’Urss. Davigo sarebbe stato condannato a vent’anni in Siberia per divulgazione di segreto di Stato, ma qui e ora è un segreto di Pulcinella. Ogni giorno ce n’è una. Dai padri fondatori ai ladri affondatori non è un gioco di parole. È un gioco di società.

Un bel gioco, alla vigilia di Roma-Napoli, è l’amichevole che oggi a mezzogiorno, al campo XXV aprile, impegnerà la Liberi Nantes e l’Afro-Napoli United. Un bel gioco di parole, visto sulla Stampa, è il nome del parco-museo che sta sorgendo a Casale Monferrato là dove c’era la fabbrica dell’amianto (Eternit) e della morte: Eternot. In vista del 25 aprile segnalo un libro di Carlo Pestelli, “Bella ciao”(ed. add. 144 pagine, 9 euro) che ricostruisce la storia di una canzone che ormai si canta in tutto il mondo. In curdo e in turco, in esperanto e in polacco, in inglese e in catalana (qui il partigiano diventa partigiana). Prima la versione delle mondine o quella partigiana? O ci arriva dalle trincee della prima guerra mondiale? Pestelli è docente di linguistica, musicologo e cantautore. E ricorda una frase di Troisi nel “Postino di Neruda”: «La poesia non è di chi la scrive, ma è di chi gli serve».

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