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GAZZETTA DELLO SPORT Triste derby, mai così vuoto. Attesi meno di 30 mila tifosi

Curva Sud
Curva Sud

(A. Catapano) – Cos’è più triste, uno stadio senza pubblico o senza regole? In un mondo normale, non avremmo dubbi. A Roma, che di normale ha poco, dipende dai punti di vista.

LE AUTORITÀ – Senza tifosi, è un «derby inesistente», così è stato definito. Ma per le autorità, che dopo anni di tolleranza, figlia di politiche volte soltanto a «ridurre il danno», hanno voltato pagina, chiudendo i rubinetti del dialogo e imponendo alle curve dell’Olimpico una cosa semplicissima, cioè il rispetto di normali regole di sicurezza, è già un successo che ci si avvicini a questo derby senza dover prevedere duelli all’ultimo sangue e puncicate nei glutei, agguati e regolamenti di conti, danni e feriti, quartieri militarizzati e saracinesche abbassate, petardi, bombe carta, fumogeni e striscioni volgari e/o intimidatori. Perché fino alla scorsa stagione, inutile far finta di aver perso la memoria, regolarmente nei dintorni dell’Olimpico accadeva tutto questo. E non solo al derby. Per carità, l’allerta resta massima e il dispiegamento di forze dell’ordine sarà adeguato, ma è significativo che il tavolo tecnico che oggi si riunirà in Questura affronterà prima la manifestazione della Cgil di sabato, poi i due appuntamenti del Giubileo dellaMisericordia in programma nel weekend, e solo alla fine il derby Lazio-Roma. Il tutto, peraltro, sempre nell’ottica di prevenire possibili attacchi terroristici. Perciò, pazienza se al derby ci andranno in pochi, quasi certamente meno dei 29.500 registrati all’andata. E pazienza se tutti gli altri non hanno apprezzato le recenti aperture delle autorità, sancite dal protocollo d’intesa firmato con i due club, e ribadite anche ieri dal Prefetto Gabrielli: «Se le regole saranno rispettate, le barriere spariranno».

GLI ULTRÀ – Per loro, che si daranno appuntamento, speriamo pacificamente, lontano dallo stadio, l’Olimpico semivuoto non è figlio delle violenze passate (sulle quali tacciono), ma il risultato di norme ottusamente restrittive o addirittura ritorsive: prima tornelli, biglietti nominali, tessere del tifoso; poi barriere, filtraggi e prefiltraggi, multe a chi cambia posto, divieto di striscioni e petardi, poliziotti in curva (riportati fuori). Logico, per loro, disertare lo stadio. Ancor più logico, farlo in occasione del derby, la partita dell’anno. O almeno quella più carica di simboli.

 

E TUTTI GLI ALTRI? – A questa logica, però, dovrebbero sfuggire i cosiddetti «tifosi normali» (senza che gli altri si offendano), cioè quella maggioranza silenziosa che le autorità, una volta allontanata la minoranza rumorosa e violenta, speravano di riportare allo stadio. I padri di famiglia, i bambini, le donne: avrebbero avuto finalmente campo libero, e invece molti sono rimasti a casa, pochissimi sono tornati a frequentare lo stadio. Lo raccontano le cifre: se la tendenza sarà confermata nel resto della stagione, a fine campionato l’Olimpico avrà perso per strada circa mezzo milione di spettatori. Più o meno 11mila a partita. Un numero enorme, figlio di tante ragioni. Alcune comuni ad altre piazze d’Italia: la disaffezione generale per il nostro calcio, di qualità sempre più scadente (non è un caso che per vedere il Real Madrid l’Olimpico si sia riempito); la scomodità dei nostri stadi, sempre quella; i prezzi dei biglietti, sempre più alti. Altre, tutte romane, chiamano in causa le politiche dei due club. Lotitoda anni è percepito come un usurpatore. Gli viene imputato, sostanzialmente, di fare gli interessi propri. I risultati e le prestazioni della squadra, quest’anno, hanno fatto il resto: tutti gli obiettivi falliti, poca cattiveria in campo, un allenatore già silurato. Pallotta prima ha blandito gli ultrà, poi li ha mollati e bastonati: una schizofrenia che la maggioranza del tifo non ha gradito. E a poco finora è valso affidare all’ex Sebino Nela i rapporti con la tifoseria. La Roma americana continua ad essere percepita, nel migliore dei casi, come un’entità lontana, almeno dai sentimenti della gente. Una sensazione che nemmeno il filotto di vittorie con Spalletti ha mitigato. E forse è questo l’aspetto più inspiegabile.

 

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