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AS ROMA Vera Roma, il problema è nella testa

Da sinistra; Skorupski, Torosidis, Keita e Astori
Da sinistra; Skorupski, Torosidis, Keita e Astori

I momenti decisivi di una stagione sono due, quello di ottobre-novembre, quando si capisce la consistenza delle ambizioni di ogni squadra, e quello di marzo-aprile, quando quelle ambizioni prendono la strada per realizzarsi. In questo primo periodo decisivo la Roma non sta bene. Dopo i sette gol incassati dal Bayern, la squadra ha faticato a Genova contro la Samp (0-0: prima volta senza segnare), ha vinto ma senza brillare contro il Cesena ed è stata accartocciata sabato a Napoli.

Sul piano fisico e atletico la squadra giallorossa era di un livello decisamente inferiore al San Paolo. Aveva gambe pesanti e idee annebbiate: difficile entrare in questo circuito per capire se sia la mente a frenare le gambe o le gambe (che non girano) a indebolire la mente. La Roma è lenta, lentissima, e in questi pochi giorni che la separano dalla partita di Monaco in Champions League deve riprendere ritmo e brillantezza, altrimenti all’Alianz Arena va incontro a un’altra batosta.

Solo giocatore che può essere giustificato per la stanchezza, è Radja Nainggolan, in campo da titolare dodici volte su tredici partite, Champions compresa. Nonostante un bel po’ di infortuni, gli altri hanno ruotato abbastanza grazie alla ricchezza dell’organico. Pesa l’assenza di Strootman come quella di Castan, ma fino a poco tempo fa nessuno a Trigoria si disperava. A Napoli la Roma non ha vinto un contrasto, non è mai arrivata alla stessa velocità dei suoi avversari, non ha mai tenuto lo stesso ritmo, mai raggiunta la stessa intensità.

Prima della flessione di prestazioni, Garcia aveva saputo maneggiare con cura un organico ricco e completo, il migliore della Serie A nel rapporto quantità/qualità e pur cambiando tanto il livello non cambiava. Alla vigilia di Juve-Roma, il francese aveva fatto più del doppio dei cambi di Allegri e il gioco più scintillante era della Roma. Adesso la mano fortunata di Garcia ha perso la magìa, le intuizioni si sono rarefatte e nonostante l’ottimo livello dell’organico le scelte dell’allenatore non convincono più come prima. Anzi, talvolta sfociano in momenti di nervosismo, come è successo nei casi di Destro e Iturbe nella gara contro il Cesena.

E quando il livello sale insieme alla tensione, la Roma ha qualche difficoltà. In quattordici mesi di Roma, Garcia ha perso 6 confronti decisivi: due (0-1 a Napoli nel campionato scorso e 2-3 a Torino contro la Juve un mese fa) giocandole alla pari; un’altra (0-3 a Torino contro la Juve di Antonio Conte) quasi senza giocare; e altre tre (0-3 al San Paolo in Coppa Italia, 1-7 in Champions League contro il Bayern Monaco, 0-2 ancora a Napoli sabato scorso) senza scendere in campo. Si può parlare in più di un caso (ultimo compreso) di mancanza di personalità o, peggio ancora, di superficialità. Ma la prima ragione di queste brutte sconfitte risiede nella testa, nella mentalità della squadra, nella sua difficoltà a crescere, difficoltà che si pensavano fossero state definitivamente risolte.

Fonte: corriere dello sport

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