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AS ROMA Pjanic: “Che intesa con Totti! Garcia mi lascia libero in campo”

Pjanic
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Miralem Pjanic parla a 360° della sua avventura a Roma e di se stesso. Ecco le sue parole

Idoli: “Da bambino Zizou, Zidane. Da avversario mi piace molto Pirlo, è sempre difficile giocare contro di lui, fa la differenza, è elegante. Forse in generale nel calcio di oggi quello che mi piace di più è Xavi, per lo stile. Mi piacciono i calciatori che riflettono quando giocano. Si capisce se un giocatore sa riflettere o no. E questi tre vedono cose che gli altri non vedono”

Sulla sua infanzia: «Sì, sì. È vero. È andata così: mio padre aveva chiesto due volte i documenti per andare a giocare in Lussemburgo e avevano rifiutato di darglieli. Era un calciatore, giocava nel Drina Zvornik. Così la terza volta siamo andati con mia madre. Io ero in braccio a lei e quando mia madre ha iniziato a piangere, perché continuavano a rifiutarsi di darci i documenti, mi sono messo a piangere anche io. Abbiamo impietosito l’uomo davanti a noi che ci ha detto: Va bene, lo faccio per il bimbo. Aveva degli amici lì. È stata la prima occasione per andarsene e l’ha colta. In Lussemburgo faceva l’operaio, e anche mia madre doveva lavorare. Grazie al calcio però ha avuto i documenti per restare, all’inizio. Ma lì non si vive con il calcio, è amatoriale”

Sulla guerra: “Sì, ma non ne parliamo molto. Io ho visto le immagini, ho guardato i documentari, i film» 

“Difficilmente mi separavo del pallone, lo tenevo sempre in braccio, tra i piedi, ero sempre fuori con gli amici. E mio padre mi dice che anche da piccolo c’era una grande differenza tra me e gli altri. Ma ci sono tanti giocatori bravi nel mondo. È la testa che a un certo punto cambia e ti permette di diventare un professionista. Oppure no”

Il rapporto con il padre“Certo conta tanto per me, perché mi conosce meglio di qualsiasi altra persona. Mi segue fin da bambino, mi dà consigli. Era un centrocampista come me, giocava in una coppia di centrali. Sapeva giocare. Io l’ho visto giocare e ogni tanto giochiamo ancora insieme. Si vede che ne capisce. Ma abbiamo un rapporto normale, niente di eccessivo” 

Metz: Ancora oggi le persone che ho incontrato a Metzc sono importanti per me. Con loro ho avuto un rapporto che ho con poca gente. Mi sentivo davvero molto bene lì e anche loro credevano molto in me. C’era qualcosa di molto forte tra noi. Per dirti, prima di firmare qui a Roma ho chiamato Olivier Perrin, il mio allenatore nell’Under 18, e gli ho chiesto che ne pensava, se era un calcio per me. Praticamente ogni anno saltavo una categoria e giocavo con quelli più grandi. Era la terza o la quarta partita del campionato, in casa, con lo stadio pieno. Quell’anno giocavo con la seconda squadra nel campionato dilettanti, ma c’erano un infortunato e uno squalificato, sono entrato in prima squadra e da quel momento non ne sono più uscito. Non se lo aspettava nessuno e la mia famiglia era in vacanza quando gli ho detto che sarei andato in panchina. Sono tornati di corsa”

Lione: “Il primo anno avevamo ancora una grandissima squadra, poi è andato via Karim (Benzema), Juninho, perché servivano soldi. Peccato, perché il Lione aveva tutto per vincere ancora. Sfortunato? No. Anzi, posso dire di essere stato fortunato. Sono andato lì a 18 anni, venivo da Metz che è una piccola squadra di Ligue 1 e sono andato in una delle più forti in Europa, perché in quel momento lì erano veramente straordinari. È cambiato tutto, gli allenamenti erano più duri, dovevo abituarmi ai nuovi ritmi, ai nuovi compagni, alla nuova città. Ho lavorato, lavorato, lavorato e con il temp”

All’inizio della stagione 2009/10 Pjanic prende il numero 8 che era di Juninho e nella tradizione di Juninho segna il suo primo gol con la maglia del Lione su punizione: “In quel periodo ho iniziato a giocare molto anche con la Nazionale. In un anno devo aver giocato 50, 60 partite. Lì ho fatto il salto, sono entrato più nel vivo, nel centro del gioco. Sono diventato più maturo, diciamo”

Roma:  Gourcuff è più il mio ruolo. Non è stato un anno molto felice, positivo, e quando dovevo scegliere di venire Roma ho tenuto conto anche di questo. Ma qui è diverso. Con Checco ci troviamo bene in campo, capiamo i movimenti l’uno dell’altro». Forse è anche merito dell’abitudine: «È la quarta stagione che giochiamo insieme. Io so molto bene come gioca lui, lui sa molto bene come gioco io. Quando vedo che lui viene un po’ più basso, vado io più alto. So come lui vuole la palla… ci capiamo, è diverso e mi sento molto bene come gioco adesso. Il mio posto è dove gioco adesso. La mezzala in un 4-3-3. In un centrocampo dove gestiamo la partita, dove abbiamo sempre il possesso, senza paura di tenere la palla. Questo è il mio gioco. E gioco con calciatori straordinari che capiscono davvero molto di calcio. È facile giocare in questo modo, quando il Mister ti chiede di giocare in questo modo».

Zeman: “Secondo me Zeman è un bravo allenatore. Forse però voleva un certo tipo di giocatori che non aveva qui. Forse dovevamo giocare in un’altra maniera, perché i giocatori a disposizione facevano un altro tipo di gioco. Lui chiede spesso ai centrocampisti di buttare la palla in avanti, di verticalizzare, sempre. A me piace giocarla come la sento io. Come mi chiede il Mister adesso: Fai quello che senti perché tu sei quello che decide, tu devi fare il tuo gioco. Questo mi dice Garcia oggi. È completamente diverso. Non è che non me la sentivo di buttarla dentro, a volte però pensavo che la soluzione migliore era un altra. La differenza oggi è che mi sento molto più libero». 

Garcia: «Abbiamo le idee molto più chiare. Sappiamo come vuole che giochiamo. Siamo molto più forti tatticamente, equilibrati. Sappiamo i compiti di tutti, e se uno non è al suo posto c’è qualcun altro che lo copre, ci battiamo l’uno per l’altro, corriamo, diamo una mano a quello che magari è meno in forma. È tutta la squadra che fa la differenza, e questo è lo spirito che il Mister ha portato con sé. Noi facciamo quello che chiede il Mister e se il Mister vuole che recuperiamo la palla subito, velocemente, subito dopo la linea degli attaccanti ci siamo noi centrocampisti. Lo conosco, ma anche il Mister l’ha visto. Quando è arrivato ho un po’ gli ho spiegato com’è qua la situazione, com’è l’ambiente. Il Mister è un uomo molto in gamba, ha capito subito la situazione e ha lavorato subito sull’aspetto psicologico perché venivamo da una stagione molto difficile. Certa gente ama quando qualcosa va male, per questo accentua gli aspetti negativi, per far male alla società, ai giocatori. Ma io so che quando ho giocato ho sempre dato il 100%. A volte non puoi dare tutto quello che vuoi. È la vita dei calciatori. Noi proviamo sempre a dare il massimo e i tifosi hanno tutto il diritto di essere arrabbiati quando in due stagioni arrivi quinto o sesto. Non sono stagioni da Roma, è normale che protestano. Adesso siamo lì dove dobbiamo essere e vogliamo portare gioia ai nostri tifosi”

Totti: “Come posso essere l’erede di Totti? Tutti sognano di essere l’erede di Totti ma non è facile. Totti è Totti, è qualcosa di più del solo calcio. Ha fatto la storia del calcio italiano, è una leggenda. È bellissimo il fatto che non abbia mai cambiato maglia. Ha avuto fortuna, a non dover mai cambiare maglia».  E’ possibile identificarsi con una squadra, con una città, anche solo dopo un paio di stagioni. «Perché no? Il calcio è cambiato e a volte sono le società ad aver bisogno di soldi, non è sempre il calciatore che va via. Io ho avuto l’opportunità di andar via, però mi sento così bene che, mi chiedo, perché devo andar via se amo questa squadra, se amo questa città e voglio vincere qui?”

Futuro dopo il calcio: “Non ci ho ancora pensato. Anche perché, spero, è un momento ancora lontano. Però penso di sì, perché amo talmente tanto il calcio che sarà dura uscirne “

Fonte: Ultimouomo

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