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GAZZETTA DELLO SPORT La Serie A riflette su Tavecchio. E sul programma

Carlo Tavecchio
Carlo Tavecchio

(M. Iaria) – Nella lunga volata che si concluderà l’11 agosto con l’elezione del presidente federale, c’è un paradosso tutto italiano. La Serie A è il motore economico del calcio tricolore, è l’epicentro di pregi e difetti del movimento, è lo show pallonaro che entra in ogni casa, eppure pesa solamente per il 12% nello scacchiere delle forze in campo. Aggiungeteci pure che per dna è vittima di pulsioni egoistiche, fatica a fare sintesi e negli ultimi anni, in tutt’altre faccende affaccendata, ha mancato di esercitare la leadership in un auspicato (quanto incompiuto) processo riformatore. Ne vien fuori il seguente quadro: una candidatura unitaria col timbro della Lega di A, che metta d’accordo tutti, appare utopistica, a meno che una di quelle società che non accetta lo status quo tiri fuori dal cilindro un nome forte, fortissimo.

Numeri Alla fine si potrebbe procedere quasi per inerzia e appoggiare il candidato che proviene dai Dilettanti, Carlo Tavecchio, come vogliono Claudio Lotito (destinato alla vice presidenza), Adriano Galliani (ma con Barbara Berlusconi il Milan si è espresso pubblicamente a favore dei quarantenni) e il fronte delle medio- piccole saldatosi negli ultimi tempi. Chi spinge per un volto nuovo evita di sbilanciarsi ora, lavora semmai sotto traccia, cerca di capire se è possibile coagulare un consenso forte attorno a un’alternativa. Impresa per nulla facile, perché Tavecchio parte dal 34% dei Dilettanti (in attesa dell’investitura di martedì) e ha già le mani su una buona fetta del 17% della Lega Pro. Un competitor credibile, innanzitutto, non può non mettere assieme tutte le componenti tecniche (30% calciatori-allenatori più 2% arbitri), la B (5%) e appunto la A (12%), sperando di pescare voti nel bacino Pro.

Posizionamenti Certo, se si vanno a rileggere certi discorsi, certe lettere agli azionisti di Andrea Agnelli, l’orientamento della Juventus sembra chiaro: le dimissioni inaspettate di Abete, al culmine di una crisi di risultati e di sistema del calcio italiano, sarebbero l’occasione perfetta per una rivoluzione. Come i bianconeri la pensano la Roma, la Fiorentina, forse il Napoli. Cioè quelle big che negli ultimi anni, su più livelli, hanno condotto battaglie tese al cambiamento. Mentre l’Inter resta guardinga, la maggioranza della A pende, al momento, dall’altra parte. È lo zoccolo duro di 12-13 società dell’asse Lotito-Galliani. Il presidente della Lazio ha intensificato il suo peso specifico in Lega. Nelle assemblee – basti pensare alla maratona sui diritti tv – recita da protagonista conducendo i lavori tra una citazione normativa e una battuta dissacrante. E poi è presente in ogni scena madre: dal ruolo di paciere in un alterco tra Cairo e Preziosi a quello di «consulente » nello sblocco del paracadute del Bologna, vitale per l’iscrizione alla B.

Realismo Di recente, Andrea Agnelli si è tolto di dosso i panni del Don Chisciotte adottando la realpolitik: d’altronde, con l’azione delle «sette sorelle » un obiettivo – rimettere in discussione il processo decisionale sui diritti tv per incrementare i ricavi – l’ha centrato. Ecco quindi l’accordo con Lotito sulla Supercoppa, la non belligeranza sull’asta televisiva. Se la ricerca di un candidato alternativo non andrà a buon fine, può darsi che la Serie A si compatterà attorno a Tavecchio «negoziando» sul programma. Che poi è ciò che più conta. La Lega vuol mettere sul tavolo le seconde squadre, le rose ristrette, il format a 18. Certo, sarebbe meglio adottare un percorso lineare, come auspica il presidente del Parma Tommaso Ghirardi: «Gradirei che ci fosse un incontro in Lega con tutti i presidenti in modo che si mettano a confronto candidature e programmi e, alla fine, si esprima una posizione unitaria ». Un’assemblea si terrà nella seconda metà di luglio, ma rischia di arrivare a giochi già fatti.

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