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DOPO PARTITA La lettura dell’incontro di Paolo Marcacci

Destrpo

Forse Allegri non protestava per il rigore dell’uno a due: forse se la stava prendendo con se stesso, chiuso nella morsa tra Bonera e Barbarella, pensando che questa Roma poteva essere sua.

“Sarebbe venuta così bene?” ci chiedevamo noi nel frattempo; di certo, non sarebbe stata la stessa: Gervinho avrebbe calpestato fasce di altre latitudini, ad esempio, infliggendo pugnalate nel costato di altre difese e sprecando palloni che parlano altre lingue. La Roma di Garcia gioca al gatto col topo, anche se quella rossonera è una pantegana imbolsita dal blasone e dalla mancanza di un’identità: Montolivo predica a metà campo, ma come lo farebbe Don Abbondio e murare i rossoneri è agevole pure dopo l’uscita di Castan. Va solo intercettato Kakà, prima dei trenta metri in modo che non riesca neppure a mettere la seconda.

Il primo tempo affatica gli occhi, da quando bisogna stropicciarseli per l’azione telecomandata che porta Strootman a offrire il cioccolatino che Destro scarta gustando il vantaggio, fino al momento in cui cominciano ad affaticarsi per individuare il punto dove rimbalza il palloncino di Bradley (goal) o cercare il momento in cui il braccio di Zapata fa carambola con la fronte, in occasione del fortuito, estemporaneo pareggio milanista. Ah, si: c’è anche Bonera che “rigoreggia” su De Rossi.

L’inizio della ripresa è monotonia milanista e strappi capitolini, come quello che Gervinho conclude un centimetro dentro l’area e addosso al parastinco del povero Gabriel, subentrato tra i pali ad Abbiati. Balotelli si tuffa, mugugna e poco altro; indispone come sa ma chi ulula ha comunque torto, persino nei suoi confronti. San Siro invoca Pazzini, di quando in quando e si lamenta di Muntari, di quando in quando. Farebbe meglio, lo stadio milanese, a trattenere il respiro per godersi il ritorno di Totti, al minuto sessantaquattro. Come può il Milan pareggiare, ridotto così? Solo con un concorso di colpa, che la retroguardia romanista gli serve al minuto settantasette, quando Burdisso permette a Balotelli di piroettare su se stesso per servire Muntari, proprio lui, che sfugge a un Dodò tenerissimo nell’occasione.

È finita o no? Garcia vede smagliature nella rete, esce Ljajic – ah, c’era? – e Florenzi gioca i propri cilindri nella roulette del finale di partita.

Milan sul filo dell’adrenalina, Roma che tenta di reagire, può evolvere in qualsiasi modo, quest’epilogo. Anche i milanisti reclamano il dischetto, confondendo gomiti e capezzoli di Burdisso; forse avrebbero più ragione a lamentarsi di Benatia su Matri, se vogliamo essere onesti, come sempre sono i romanisti.

Finale per Kakà, più indietro e più distributore di palloni, quando sembrano rarefarsi gli agguati di Gervinho. Nei minuti di recupero, con un ritardo colpevole, la Roma torna ragnatela, ma sono sgoccioli di partita, con Bradley che prova a rincorrere l’ennesimo vantaggio e Balotelli che spedisce sui cartelloni un ipotesi di tre a due. È una Roma colpevole di non aver inferto il colpo di grazia a un Milan ferito e di non aver approfittato di quarantacinque minuti di Gabriel, quella che lascia sul terreno di San Siro due punti tenuti in tasca per sessanta minuti su novanta. La Juve non è scappata ma si sta avviando, prima di pensare alla Befana c’è un Catania di fine anno. È un Totti a pieno servizio.

Paolo Marcacci

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