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IL MESSAGGERO La rivincita del Monnezza

Gervinho

(A.Angeloni) – La cosa più carina che gli avevano detto è che ha i piedi storti. Quella più soft, inutile. Un inutile con i piedi storti. Bene, no? E chi ha comprato la Roma? Ecco il quesito ricorrente e preoccupato della scorsa e bollente estate. Certo, se osserviamo con attenzione certi numeri di Gervais Yao Kouassi, meglio noto come Gervinho, qualche dubbio poteva pure essere lecito sul suo essere calciatore da Roma. Nell’Arsenal 11 gol in 63 partite; con Garcia al Lille di gol ne aveva segnati 36 in 93 partite. Sicuramente una media migliore, se pur non esaltante. Piedi storti? Forse sì, ma la Roma non aveva preso un bomber, questo doveva essere chiaro dall’inizio. Garcia lo volevo riprendere, e di corsa, con tutti i piedi storti, Wenger lo ha salutato e adesso non lo rimpiange neppure dopo i tre gol segnati consecutivamente nel nostro campionato. Punti di vista. Questione di ambienti: a Londra non funzionava, qui per ora va alla grande. 

GERVAIS UNO DI NOI
Al di là dei giudizi tecnici e delle sue doti più o meno visibili, Gervinho è per tutti un personaggio. Stravagante. Sarà per quel suo aspetto buffo, comico, un po’ da cartone animato. Gervais in fondo è una maschera. Una maschera che oggi ha il sorriso di Roma e per questo gli vogliono tutti bene. Lo guardi e non puoi fare a meno di affibbiargli un soprannome. Per quel frontone che si ritrova, per le treccine, per quell’aspetto da dj di musica afro. E così si accende la fantasia. Che a Roma è un’arma. Ed ecco che il soprannome che gli hanno dato in Africa, Giaguaro, improvvisamente, scompare. Troppo banale forse, come quello di Bob Marley. Ed ecco che uno come Gervinho, pelle black, diventa quasi un personaggio pasoliniano: Er tendina. Come fosse uscito da “Accattone”. Fai un giro su internet e trovi un pazzo che pubblica la foto delle sue tende da interni in parallelo alla faccia di Gervais. Uguali. Questa è Roma. Ormai il nickname fa parte di noi, come il cellulare e le scarpe. Mociovileda, altro soprannome per Gervinho. Non c’è bisogno di commento. La sua fronte, una specie di musa per tutti: ecco Fronte del Palco, Fronte del porto, Frontespizio, Frontone, Frontino, si può andare avanti all’infinito. Oppure da personaggio pasoliniano a Er Monnezza, ma specificando rigorosamente che non si tratta di quello di Tomàs Miliàn ma quello rifatto da Claudio Amendola. Per ora, guardandolo giocare, si può dire che non è una monnezza. Anzi, nella botte piccola Gervinho bono, diceva il poeta. E Garcia lo sa.

GLI IMPEGNI, UN RIFERIMENTO
Buffo come Alvarez (Alvaretto…), forte come Mancini (l’Amantino giallorosso), eccolo Gervinho, ecco la sua rivincita, non per i soprannomi, soprattutto per le lingue incredule che lo hanno apostrofato e non aspettato. Lui davanti a tutto, sorride. Gioca e scherza, aiuta la sua gente in Africa. Adesso è l’idolo della comunità ivoriana in Roma. «È un simbolo. Grazie a quello che sta facendo rende felici tutti gli africani. Sta diventando un esempio da seguire – confessa Sekou Diabate, da vent’anni considerato come un ambasciatore della musica e della cultura africana in Italia – ». Diabate esprime la propria vocazione di custode della cultura africana attraverso il programma “Afric-Khan” che cura su Radio Città Futura, dove spera presto di poter avere ospite proprio Gervinho. «So che è un appassionato di musica africana e che è molto amico dei Magic System ma spero di non incontrarlo mai a ballare. Ora che sta diventando un faro, deve restare lontano dalla notte. Non è lo stile di vita che deve fare un calciatore». Lui, però, non ama frequentare i locali, almeno ufficialmente.

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