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CORRIERE DELLO SPORT La rivincita del figlio di papà

Bradley

(M. Evangelisti) E’ un figlio di papà, ha una gamba sola, piedi di latta tagliente, un istinto per la costruzione del gioco pari all’esperienza di Tarzan nel calcolo infinitesimale. Questo e altro potete dirgli, senza peraltro offenderlo. Eppure Michael Bradley, lucida testa di cuoio, con un colpo di machete ha spalancato alla Roma la strada verso il record e verso la città proibita dove è custodito qualcosa di cui non si può parlare, proprio quando la squadra si era persa nella giungla e aspettava un eroe oppure un miracolo. (…)

Bradley non si considererà mai un eroe, nella cui categoria vede solo gente incapace di pensiero razionale, e neppure può essere definito miracolo il fatto elementare di mettere in campo l’unico uomo della panchina che abbia caratteristiche, personalità ed esperienza in grado di restaurare una partita pesantemente danneggiata. Tu adesso entri, gli ha detto Garcia, proteggi la difesa e sali quando riuscite ad andare in avanti. Era lì soprattutto per distruggere, invece ha creato. Perché la sua testa di cuoio è lucida.  «Strootman mi ha servito un pallone preziosissimo. Io ho cercato di stare calmo. Ci vuole fortuna. L’ho avuta» .

NEW JERSEY – E ha accompagnato quel piatto colpo di machete con lo sguardo mentre la palla rotolava fermando il tempo, anzi, riportandolo indietro a quando Michael Bradley aveva 16 anni e già diventava professionista nei Metrostars allenati dal padre Bob. Talmente figlio di papà che la squadra prima di prendere lui aveva scelto altri tre ragazzi e lui nella prima stagione non ha giocato neppure un secondo. (…) La Roma, infine.  Tutto questo ha rivisto e poi di nuovo il presente che irrompe mentre il pallone si addormentava placido in fondo alla rete. Oh, la vita sa essere bella quando vuole. Un mese e mezzo fa a Bradley si è ripiegata la gamba sinistra come una scultura giapponese di carta.  «Ma io stavo ugualmente vicino alla squadra. E’ così che si comporta un professionista. Questo non è un gioco da giocare ognuno per sé. Sono troppi i momenti difficili che si attraversano durante un campionato. Io ho aiutato la squadra, la squadra ha aiutato me».
AVVENTURIERO – Sa che cosa giace laggiù, nella città probita. E non nomina quello che non si può nominare, neppure se la parola gli risuona intorno ripetuta da mille voci, scudetto, scudetto.  «Pensiamo al Chievo, un’altra squadra che ci chiederà di dare tutto» . Perché per arrivare a nove e andare oltre bisogna affrontare una partita alla volta, pista dopo pista, radura dopo radura,  «e tre punti dopo tre punti, come questi di Udine che ritengo meritati» .(…)
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