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IL MESSAGGERO Venditti: “Via il mio inno, non è più la mia Roma”

Antonello Venditti

(S. Carina) – Parole che lasciano il segno. Il cantautore Antonello Venditti è intervenuto ieri in due emittenti radiofoniche (Centro Suono Sport e Radio Radio) provando a spiegare il suo stato d’animo come tifoso giallorosso: «Oggi ci troviamo peggio del primo anno quando eravamo preoccupati di una squadra che non entrava nemmeno in Europa League. Oltre al risultato sul campo, il senso di romanità non c’è più. Hanno modificato il marchio, quando la Roma nel mondo la conoscono più della Coca Cola. Mi chiedo: Roma città, Roma squadra, dove va? Non possiamo essere ridotti così. Che ci sia più chiarezza. La vera garanzia della società era Baldini. Pensa se la nuova proprietà si fosse presentata all’inizio con l’attuale management. E ora Franco non c’è più», la parole del cantautore. Che ha aggiunto: «Il mio rapporto con questa nuova dirigenza? Ho pagato alcune mie amicizie. Mi hanno detto che faccio il male della Roma solo perché parlo di calcio in una determinata radio». 

LA PROVOCAZIONE 
– Poi, l’affondo: «Hanno pensato di levare il mio inno? A questo punto sono quasi felice. È così tanto poco il grado di rappresentatività che ad un certo punto, visto che c’è gente che crede che io addirittura ci speculi, se lo fanno non mi dispiacerebbe. È chiaro che non posso certo toglierlo io l’inno della Roma. Ho solo detto che se gli americani dovessero prendere questa decisione l’inno resterà comunque nel cuore della gente». In serata sul suo profilo Facebook, rivolgendosi alla tifoseria, precisa: «La mia voleva essere una forte provocazione per spronare il presidente e i dirigenti a riportare l’As Roma alla nostra cultura».

LE REAZIONI – 
Una forte presa di posizione che non poteva lasciare indifferente un tifoso doc come Claudio Amendola. In realtà, già prima del derby di coppa Italia, l’attore aveva manifestato la sua amarezza: «Mi sento orfano della Roma, di quella vera, di quella nostra». Ieri l’ha reiterata: «Antonello alla fine ha avuto più coraggio di tutti. Anche di quelli che come me lo pensano, lo hanno detto ma non sono stati così determinati e diretti. Sono d’accordo: più che la romanità non riconosco più l’appartenenza, la gioia di essere della Roma nonostante tutto. Non aver fatto nessuno sforzo per capire la realtà nella quale ci si trova, ma avere solo la voglia di azzerare quanto c’era prima. A noi del marchio non importa nulla, così come sono convinto che non sia nemmeno fondamentale vincere… C’è stata grande superficialità. Come al solito gli americani arrivano, prendono la lampada liberty e la sostituiscono con una al neon. Tanto, dicono, fa luce ugualmente. Per la Roma, però, non può essere così».  

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