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CORRIERE DELLA SERA Pallone in rosso

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(F. Monti) – Un calcio da Quaresima. Però litigioso. Come sempre. C’è una crisi grave, che è reale e va ben al di là dell’idea («non è una provocazione ») lanciata ieri da Mino Raiola: «Milan e Inter dovrebbero fondersi, per abbattere le spese di centinaia di milioni e competere con le grandi d’Europa». Idea peraltro non nuova, perché l’avvocato Agnelli alla fine degli anni Cinquanta, sorridendo, aveva parlato della possibilità di unire Juve e Torino e Carlin (Carlo Bergoglio, direttore di Tuttosport) lo aveva soprannominato Giuanin fundeur.

Ad esempio, sopra il pallone italiano, staziona una bolla da 20 milioni di euro. Sono gli stipendi non pagati ai calciatori, allenatori e preparatori delle società che sono fallite negli ultimi quattro anni, a partire cioè dal 2008-2009, quando non erano riuscite a iscriversi al campionato di Lega Pro nemmeno tre delle quattro squadre retrocesse dalla serie B (Pisa, Avellino e Treviso). In passato, era stato costituito il Fondo di garanzia per chi si fosse trovato in situazioni del genere. Crisi e incomprensioni hanno fatto sì che il fondo venisse disdettato; l’Assocalciatori, insieme con allenatori e preparatori (d’accordo con Lega di B e Lega Pro), hanno dato vita al Fondo di solidarietà, autotassandosi dello 0,50% (4% per i nazionali). Il massimale, che un tempo arrivava a 212 mila euro, è sceso a 75 mila (lordi), anche perché in A si guadagna molto, ma lontano dal grande calcio succede che l’88% dei calciatori dell’ex C2 (ora Seconda Divisione) siano sotto la soglia dei 35 mila euro lordi.

All’appello manca la Lega di A, che ha opposto un secco no all’idea di inserire la clausola dello 0,50% nei contratti dei calciatori, accusando l’Aic di voler gravare sui club, perché i calciatori quando discutono l’ingaggio si riferiscono sempre al netto e non al lordo. È chiaro che di fronte a una posizione così dura, sarà più difficile garantire il regolare svolgimento dei campionati, quando, durante la stagione, si creeranno situazioni pre-fallimentari. In questo caso scatterà la messa in mora, che finora era sempre stata considerata come una via da percorrere come extrema ratio.

D’altronde i rapporti fra Lega di serie A e sindacato calciatori sono tornati a essere molto freddi, dopoché il presidente Tommasi non ha ricevuto nessuna risposta alle tre raccomandate spedite in via Rosellini a Milano, per arrivare a sottoscrivere un contratto collettivo di durata triennale (è scaduto il 30 giugno). In forma ufficiosa, i vertici della Lega di A hanno fatto sapere che il contratto collettivo deve ritenersi prorogato di un anno. Situazione sconcertante, perché, in base alla Legge 91 del 1981, non si può giocare in assenza di un accordo collettivo. In passato si era discusso di contratto collettivo per un anno intero (2010); a settembre 2011, la mancata firma aveva portato allo slittamento dell’inizio del campionato di A. Ma è evidente che esiste da parte delle società la volontà di tenere sotto pressione sindacato e giocatori.

L’argomento finirà comunque in Consiglio federale, quello programmato per martedì prossimo, anche perché si è creata una situazione particolare: c’è un clima di confronto costruttivo fra i vertici di Figc e Assocalciatori (anche sulla nazionale), mentre restano tempestosi i rapporti fra l’Aic e Lega di A. Ma anche con la Lega Pro non tutto funziona, ora che sta per essere varato il progetto di mandare in campo squadre con un’età media non superiore ai 24 anni per ricevere i contributi, con la conseguenza che gli allenatori avranno bisogno più della calcolatrice che della lavagna.

Nel frattempo, è sempre aperto il problema delle iscrizioni ai campionati.La punta dell’iceberg è rappresentata dal Siena. Il club, retrocesso in B a maggio, aveva già accumulato 2 punti di penalizzazione; il presidente Massimo Mezzaroma non ha pagato gli stipendi di gennaio, febbraio, marzo e aprile e può prendere altri 2 punti in meno (uno è sicuro). Ma il problema è un altro: coinvolto nella crisi di Mps, il Siena non potrà iscriversi al campionato di B, se entro il 16 luglio il presidente non pagherà stipendi, contributi e ritenute. La situazione è difficilissima, ma non è l’unico caso. Un club glorioso come il Vicenza è in cerca dei soldi per regolarizzare la propria posizione, mentre è già fuori il Treviso che nel 2006 era in A. Anche la Nocerina appena retrocessa dalla B rischia di non iscriversi (fidejussione).

Restano segnali di forte turbolenza nella Lega di A. La Juve ha presentato reclamo alla Corte di giustizia federale contro la delibera del Consiglio del 27 giugno, relativa alla divisione dell’incasso della Supercoppa (Roma, 18 agosto). Il Direttivo aveva deciso di riconoscere alla Lega e alla Lazio un minimo equivalente a quanto avrebbero incassato giocando in Cina e alla Juve l’eccedenza, fino a quanto avrebbe percepito dai cinesi (un totale di 3,3 milioni di euro). Sull’eventuale surplus, secondo la decisione contestata dalla Juve, il 10% andrebbe alla Lega e il resto diviso tra Lazio e Juve. Che ha deciso di far reclamo, dopo la lettera inviata in Lega dal presidente Agnelli, che non ha avuto riscontro.

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