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CORRIERE DELLA SERA L’odio tra le due curve sempre sul confine della guerriglia di strada

Scontri derby

(G. Toti) – Chi non conosce Roma (calcistica ma non solo) fatica sempre a comprendere. Qui, invece, ancora ci sorprendiamo di chi si sorprende. Drammatico e deprimente, eppure vero. Quando c’è di mezzo Roma-Lazio tutto si trasforma e si slabbra. Ilderby non è la sfida più attesa, la partita che sfugge alla ragione ma pure sempre una partita, la goduria massima o la delusione più atroce. Diventa «guerra civile». Qui, quando c’è di mezzo il derby, Roma torna borgo antico, schiava di un campanilismo cieco e senza speranza. È una rivalità viscerale che nasce quando nasce la sfida.

E che tragicamente scivola nell’odio violento da cui quest’evento non si è più emendato. Il primo punto di rottura, che muta per sempre la storia degli stadi italiani è inciso nella memoria di tutti: 28 ottobre 1979. Gli anni di piombo sono arrivati anche là dentro, politicizzando le curve e connotandole in maniera sempre più estrema. Il 28 ottobre del ’79, prima di un derby di campionato, Vincenzo Paparelli viene raggiunto al volto da un razzo lanciato da alcuni teppisti-ultrà della curva Sud romanista e muore all’istante. Vincenzo Paparelli è un padre di famiglia, un tifoso della Lazio che sta mangiando un panino in curva Nord, accanto a sua moglie, in attesa che cominci la partita. Muore così. Senza motivo. Nel luogo del «divertimento » per eccellenza. Che da quell’attimo, invece, perderà per sempre la sua innocenza. L’escalation sarà inesorabile e non si arresterà più. Impossibile registrare un derby senza scontri fra tifoserie, senza cariche agli uomini in divisa, senza feriti, senza terrore.

Ogni volta è un bollettino di guerra. Che culmina nel secondo punto di rottura, il 21 marzo 2004: meno di dieci anni fa, cinque lustri dopo l’omicidio di Paparelli. Quella sera, mentre si sta giocando il derby di campionato, lo stadio viene imprigionato dalla «notizia» della morte di un bambino, un giovane tifoso investito fuori dallo stadio da una camionetta della polizia. Un gruppo di tifosi giallorossi entra sulla pista dell’Olimpico e convoca Francesco Totti, il capitano della Roma, il quale viene invitato a parlare con l’arbitro Rosetti affinché la partita venga sospesa. Ma la «notizia» è falsa. Non c’è nessunmorto, nessun bambino investito. Il questore dell’epoca Nicola Cavaliere prende il microfono per tentare di placare l’immotivata angoscia del pubblico e far riprendere la gara. Ma non c’è niente da fare. Romanisti e laziali, tutto lo stadio, sono convinti che le forze dell’ordine intendano solo nascondere la notizia per far finire il derby. La partita verrà sospesa e recuperata un mese dopo. È il secondo punto di rottura.

Perché da quel momento prende piede un fenomeno perverso e pericolosissimo: le frange più estreme delle due tifoserie si alleano contro gli uomini in divisa. Sono loro, poliziotti e carabinieri i primi «nemici» verso cui scaricare odio e violenza. Ciò che si scatena l’11 novembre 2007—il giorno in cui il povero tifoso biancoceleste Gabriele Sandri, mentre sonnecchia seduto in macchina, viene colpito e ucciso da un colpo di pistola sparato da un poliziotto in un’area di servizio vicino ad Arezzo—non ha paragoni nella pur ricca follia delinquenziale del calcio italiano. È guerriglia autentica. Caserme assaltate, agenti barricati per difendersi da un torrente umano fuori controllo. È un inferno che dura ore. Un tempo infinito e che solo per caso non produce altri morti. Miracolo puro.

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