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AS ROMA Andreotti: la Roma, i cavalli, il Coni

Giulio Andreotti

Al conclamato amore della sua vita pubblica, il potere, Giulio Andreotti ha aggiunto una inarrestabile passione per lo sport al quale lo ha legato un rapporto lungo e intenso. Lungo come la sua esistenza, a dispetto di quello che gli aveva predetto un medico militare (morto, lui sì, prematuramente, notò con scaramantico humour tanti anni fa il ‘divo Giulio). Intenso come l’amore per la ‘sua’ Roma, incrollabile nella buona e nella cattiva sorte. Per oltre 60 anni, politica e sport si sono intrecciati strettamente nella carriera di Andreotti. Appassionato soprattutto di calcio (praticato da ragazzo, “ma ero una schiappa”) e ippica, interessato a tutte le discipline sportive, il senatore non ha mai fatto mistero della sua fede giallorossa. Più in generale, ha guardato sempre a tutto lo sport con competenza ed ironia.

LA ROMA, FALCAO E L’AVVERSIONE PER LA JUVE – Giallorosso dall’età di otto anni (“e solo perchè fino a quel momento la Roma non c’era ancora”, diceva), Andreotti non ce l’ha fatta a veder realizzato il desiderio espresso nel giugno 2001, quando i giallorossi vinsero il campionato: “Adesso spero solo che per il quarto scudetto non ci siano da aspettare tanti anni, perchè non ho tantissimo tempo…«. Romanista: quindi anti-juventino, pur riconoscendo ai bianconeri una sorta di »valore comune« nazionale. »La Juventus era meglio in serie C. Ma anche in B, per un vecchio tifoso come me, è un pò come la Rivoluzione francese”, commentò, nel luglio 2006, la sentenza d’appello su Calciopoli. E all’avvocato Agnelli, che lo provocava sostenendo che la Roma conquistò lo scudetto ‘di guerrà del 1942 grazie al Duce, fece notare che la vittoria arrivò soltanto alla fine del Ventennio. Romanista che riconosceva ai laziali »solo i diritti umani«. Ma prevaleva l’anti-juventinismo. »Una volta tanto in vita mia sono contento che la Lazio abbia vinto una partita«, disse nel marzo 2001, e, guarda caso, la squadra sconfitta era la Juve. Romanista che una sola volta “si è impicciato” nelle vicende della società, adoperandosi, nel 1983, perchè, dopo il secondo scudetto giallorosso “l’ ottavo re di Roma” non andasse all’Inter: “Ebbi solo un ruolo nel reingaggio di Falcao: quando chiamai la madre del giocatore e potei dirle, senza mentire, che anche il Papa aspettava suo figlio. In realtà, ricevendo la Roma, il Papa aveva domandato: ‘Ma Falcao rimane?’. Quindi non era del tutto una bugia, e la signora era stata contenta”.

LA NOSTALGIA PER TESTACCIO – “Quando pioveva – raccontò all’Ansa – la vernice rossastra delle tribune di legno lasciava tracce. Così spesso tornavo a casa con i pantaloni sporchi: mia madre si scocciava molto, ma rispettava la priorità romanista«. Il ricordo del vecchio campo Testaccio si tinge di nostalgia: »Di soldi a quei tempi ce n’erano pochi, ma le due lire per il posto dietro la porta le trovavo sempre. Si stava attaccati al campo, si viveva la partita come un sogno. Erano momenti di gioia intensa, i giocatori già allora erano idoli”. E ancora, sui trionfi azzurri ai Mondiali degli anni ’30: “Andavo a Piazza Colonna ad ascoltare le cronache delle partite alla radio”.

IL CONI – Nel dopoguerra Andreotti salvò il Coni, che doveva essere soppresso in quanto branca del disciolto Partito fascista. Lui stesso ricordava quando Giulio Onesti – dapprima commissario liquidatore, poi presidente del Coni fino al 1978 – gli chiese di intercedere presso De Gasperi perchè l’ente non morisse. La soluzione fu trovata con l’autosufficienza economica frutto dei proventi della schedina della Sisal. E grazie a lui l’organizzazione sportiva ha sempre trovato un canale preferenziale in ambito politico e legislativo. Andreotti è stato anche presidente del comitato organizzatore delle Olimpiadi del 1960 a Roma, le ultime a misura d’uomo.

I TECNICI IN POLTRONA E BERLUSCONI  »Allenare davanti alla televisione è facile: io invece ho molto rispetto di chi gioca o fa il tecnico, perchè le cose dal salotto o dalla tribuna appaiono più semplici di ciò che sono«. Così, dopo gli Europei del 2000, si dissociava dalle critiche di Berlusconi al ct azzurro Dino Zoff, dicendo che non gli piaceva »fare il Cacasenno«.

L’IPPICA – Appassionato di uno sport che »ha bisogno di essere conosciuto veramente«, Andreotti amava frequentare gli ippodromi e non demonizzava le scommesse (»lo Stato creatore del gioco del Lotto non si può mettere a fare prediche«). Scherzava poi sulla maggiore popolarità delle discipline equestri all’estero: »La regina d’Inghilterra e come lei altri capi di Stato non fanno mistero di essere proprietari di cavalli. Da noi sarebbe più complesso, se i tuoi cavalli vincessero ci sarebbe subito qualcuno pronto a dire ‘hanno vinto perchè sono del ministrò. Se perdessero, il commento sarebbe sicuramente ‘non siete nemmeno buoni a darvi all’ippica

Fonte: ansa

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