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DOPO PARTITA La lettura dell’incontro di Paolo Marcacci

Gol di Lamela

Persino le lumachine che spuntano sul terreno del “Friuli” madido di pioggia sono più vivaci di certe fasi di una gara che è un inno al tatticismo; mezza Italia si spella le mani per applaudire la chiusura che Andreazzoli opera su ogni spiffero del tracagnotto e ballerino attacco dell’Udinese: Perrotta e De Rossi frangiflutti a protezione della difesa, Torosidis e Marquinho ai lati a scaricare il contachilometri.  Si comincia con un Florenzi, redivivo nella casacca titolare, che ricorda l’incursore che fu ai tempi di Crotone: Totti (più bravo con la palla…) lo fa viaggiare negli spazi che è un piacere, lui interpreta alla perferzione il ruolo dello scattista ma spreca malamente davanti a Brkic. Sarà comunque uno dei temi della gara, per gli ottantaquattro minuti che Florenzi disputa tra dinamismo e scelte di tempo: la seconda volta è carambola per il tocco risolutivo di Lamela che fa zero a uno, nella ripresa si ritrova ancora a scivolare come una biglia nel corridoio talmente sgombro da fargli meditare un pallonetto poi abortito in un diagonale dalla traiettoria troppo aperta e infine fa espellere Hertaux che si trova obbligato a travolgerlo sull’ennesima infilata. Un rientro significativo, una presenza di sostanza anche per come ha “svegliato” a tratti una partita quasi letargica. Dura sessantuno minuti quella di Totti, scaturigine di ogni situazione offensiva giallorossa: un dato di fatto che non sorprende, vista la qualità assoluta inscatolata in una macchina fisica tirata a lucido oggi più di ieri, ma che nell’ultima mezzora, caotica come un calciotto da dopolavoristi, evidenzia quanto la Roma senza di lui sia poco più della metà di se stessa e non è una critica al resto della squadra, semmai una riflessione suggerita a chi ancora prova a discuterlo senza vergognarsene. Guida non è Gloria, la battuta è particolarmente trash ma mai quanto certi atteggiamenti del direttore di gara in questione, che avremmo stigmatizzato anche se a mostrarli fosse stata la bionda e bellissima attrice che ha turbato le nostre adolescenze: piglio ducesco, capacità di esasperare gli animi di entrambe le compagini pur in assenza di episodi eclatanti, almeno per buona parte della gara, mancanza di risolutezza quando occorrerebbe (vedi Domizzi che lo rimbrotta a due millimetri dal naso dopo il cartellino per simulazione) e un giallo a Totti pescato come un coniglio ubriaco dal cilindro zuppo di pioggia. Poi, volendo, su Torosidis il rigore c’era, al di là di quanto “Toro” abbia accentuato o meno, visto che non c’è un misuratore che stabilisca la volontaria accelerazione dell’inerzia in caduta (ma che ho scritto?). Stekeleburg è tornato definitivamente, verrebbe da dire, nonostante abbiamo avuto bisogno di varie riproposizioni televisive per capire dove sia passato il tracciante dell’uno a uno friulano, spinto dal terreno fradicio come un boccale di birra sul bancone di un saloon: fuoripista di Burdisso e calo dell’attenzione di Torosidis sono la decisiva premessa, comunque, alla conclusione che Muriel si ritrova tra i piedi in un fazzoletto d’area. Ancora meno si capisce dove abbia provato a metterla Osvaldo e soprattutto come, in un momento di partita dove l’agonismo dovrebbe essere allo Zenit e più che la ricerca del tocco liftato dovrebbe essere privilegiata l’efficacia della soluzione. Va beh… Alla fine il bilancio di una partita che la Roma sblocca, controlla, regola nei tempi e incanala nei ritmi per la maggior parte del minutaggio, recita: uno a uno, un punto nel carniere. Qualcuno dirà o avrà già detto che continua la serie positiva; a noi visti i contenuti della gara sembra un delitto aver lasciato che gli uomini di Guidolin ricevessero una boccata d’ossigeno.

Paolo Marcacci 
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