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LA REPUBBLICA Da ZZ ad Aurelio: un punto esclamativo ha cambiato la Roma

Andreazzoli

(G.Romagnoli) – Non solo, come noto, la realtà supera la fantasia. Batte anche la pubblicità: 1 a 0, gol di Totti. Nel più sfortunato degli spot di una nota casa automobilistica tedesca, alla domanda di un giornalista («Che cosa ha detto ai suoi ragazzi per motivarli così?») l’ (allora) allenatore della Roma Zdenek Zemanrispondeva: «Daje». Senza punto esclamativo. Nello spogliatoio, prima della partita con la Juventus, l’ (attuale) allenatore della Roma Aurelio Andreazzoli ha motivato i suoi ragazzi così: «Daje!». Con il punto esclamativo. Il primo avrebbe perso 3 a 4. Il secondo ha vinto 1 a 0, appunto: il risultato con cui la realtà sconfigge l’immagine, il passato, l’illusione proiettata sui muri di Testaccio. Da ZZ a AA si è rovesciata la sfera che contiene il cupolone e l’Olimpico, si fa un papa senza che ne sia morto un altro, e la Roma ha improvvisamente imparato a difendere, o almeno deciso di provarci.

Via il papa straniero, viva il parroco: Aurelio! Intanto ha fatto vedere un miracolo: Totti che marca Pirlo. La parola d’ordine della venticinquesima giornata e l’uomo che l’ha pronunciata sono tutt’uno e si fondono nel segno di interpunzione che dà il senso all’espressione e la rende profezia: in hoc signo vinces. Sono quasi due anni che la società lavora a un progetto, ne cerca i raffinati architetti, discute se Totti debba esser pilastro od ornaspalma, mento. Echeccevoleva mai? Quattro lettere, una nota d’entusiasmo e via. Roma! Daje! Il sospetto che l’allenatore, più che uno stratega sia uno psicologo, ma più che uno psicologo un motivatore, ma più che un motivatore uno che ti butta dentro a pedate, si era già fatto largo.

Quando anche Gigi Maifredi passava per un tecnico, il suo centravanti Gibellini rivelò: «Mah, veramente quando torniamo nello spogliatoio tra primo e secondo tempo ci dice solo di darci dentro». Il film di Paolo Sorrentino “L’uomo in più” si apre con la sfuriata di un allenatore (isprata dal “Petisso” Pesaola) che non contiene una sola nota tattica, ma sarebbe stata condensabile nelle solite quattro lettere e una decina di punti esclamativi. E allora dopo due anni di AA cercasi allenatore, stai a vedere che a Roma l’han trovato: Aurelio! Viene dalla Toscana, ma si porta un nome imperiale. Come tutti i predestinati è lì per caso. La nuova proprietà intendeva liquidarlo, lo hanno trattenuto i giocatori. Con loro ha un rapporto speciale: ZZ li osservava a distanza di sicurezza, come un entomologo perplesso, AA ci si come uno zio tornato dall’America. Che i due antipodi non si parlassero neppure è scontato, giacché ZZ sussurrava soltanto a se stesso. AA urla: agli steward che non camminano sugli spalti con la schiena diritta, a chi non raccoglie una cartaccia da terra sul pavimento del centro tecnico, il suo tempio, gli altri possono esser mercanti, lui è lì per cambiare il mondo.

Lo chiamano “il guardiano del faro”, perché non si allontana mai da Trigoria, sarebbe come orbitare più lontano dal sole. Il suo universo è quello. Lì ha concepito la rivoluzione copernicana che fa girare il pallone intorno alla Roma e non la Roma intorno al pallone. Come per un astrofisico l’onore più grande è dare il nome a una stella, lui ha dato il nome a una finta: l’aurelio di Taddei. AA è di quelli che hanno aspettato a lungo la propria occasione. Non ha mai perso la fede. Letteralmente, sì: quella nuziale continua a staccarglisi dal dito e si è fatto tatuare le iniziali della moglie sull’anulare. Per dire che ci crede ancora di più, che il convincimento se l’è scolpito addosso. Camilleri ebbe successo a 69 anni, Aurelio ci prova a 60: è in tempo per il cielo. È di quelli di cui ci s’innamora in fretta perché dà un titolo, è semplice e maniacale, è fuori dai giochi ma ha un’idea del gioco. Allenatori così sono frutti fuori stagione, sbocciano per sbaglio a due terzi dell’esistenza e del campionato, più fragili dei giovani e molto ma molto più coraggiosi. ZZ andava protetto da se stesso, AA dal resto del mondo. O magari, sta a vedere, è più furbo di tutti, anche del boemo: omaggia la curva sud, cena con Sabatini e fa ruotare il sole intorno a Totti, che ricambia inondandolo di luce riflessa. Ma soprattutto, sceglie come motto quelle quattro lettere che (molto più di SPQR) rappresentano Roma e le pronuncia come Roma vuole, fomentato e incredulo. Prima che sia subito sera: Aurelio, daje!

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