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DOPO PARTITA La lettura dell’incontro di Paolo Marcacci

Destro

Stesso copione, con maggior veemenza nella prima parte; più di qualcuno si chiede quanto faccia pagare Zeman le ripetizioni di tattica a Stramaccioni: Roma a valanga, chirurgica nell’aggressione degli spazi e scivolosa come un’acciuga nel burro della retroguardia interista quando c’è da  presentarsi di fronte ad Handanovic. Dici: va beh, ma stanno quattro a zero? No, perché si comincia subito con l’evaporazione di goal che già quasi lampeggiano sul tabellone: Destro, Totti, Lamela, Destro…Sono inarrivabili, per il diesel interista, i giri del motore giallorosso. Zeman sa che non possono durare le marce alte, tanto che alla fine del primo tempo arriverà a chiedere a Bradley e Florenzi di spendere quello che hanno per arrotondare il più possibile quello che nel frattempo è diventato un due a zero, nell’umida semifinale d’andata presa a capocciate da Florenzi e Destro.

Tutto bene eppure è già rammarico, per la cassaforte del risultato piena a metà. Se poi un referendum servisse ad abrogare la parte finale dei primi tempi, specialmente contro l’Inter, i romanisti firmerebbero in massa, così come in massa siamo pronti a giurare che Cambiasso batta qualche metro più avanti la punizione da cui nasce il due a uno dei nerazzurri, timbrato da Palacio che quasi anticipa anche la palla, per come si catapulta a grattare via dai guanti di Stekelenburg frammenti di secondo che fuori casa valgono doppio.
La ripresa comincia con i rimproveri di Zeman a Tachtsidis, per la poca fludità nel giro-palla che si fa più evidente col crescere delle tossine e a Destro, perché non sempre segue l’azione fino allo sviluppo finale. Perrotta per Florenzi, quando le guance paonazze di chi ha sbloccato il risultato segnano il rosso della riserva; Stramaccioni lì accanto scuote la testa ogni trenta secondi, perché i suoi si limitano al compitino e non sappiano impadronirsi della linea mediana dopo il calo della Roma. Da una parte e dall’altra si arriva al tiro, con sempre minore lucidità e grazie al dilatarsi degli spazi. L’Inter prima arremba alla ricerca del pareggio, facendo trattenere il respiro ai trentamila punzecchiati dall’umidità che sale dal Tevere; poi comincia a cercare di gestire un risultato che tra ottantaquattro giorni (sic) potrebbe pure tornare utile, non disdegnando la ripartenza quando la Roma presta il fianco, soprattutto se Tachtsidis ingolfa l’azione, chiamandosi addosso i primi sibili di disappunto, che diventano fischi una volta aggirata la boa del settantacinquesimo minuto. Esce Totti dopo tanta corsa e l’affacciarsi dell’acido lattico per la compressione dei recenti tratti di calendario.
La parte finale è un trascinarsi della partita, con la Roma che è parente alla lontana di quella della prima frazione e l’Inter che si spende nello spezzettamento del gioco.
Ci si rivede a Milano dopo la fioritura delle mimose, con il fastidio del golletto incassato e il grande disappunto per la proporzione tra la mole di gioco sviluppata nella prima parte e le segnature che ancora una volta non corrispondono a quanto prodotto in fase offensiva.
Qualcuno giura di aver visto Lamela, qualcun altro è contento di aver rivisto Stekelenburg.Paolo Marcacci 

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