ORA D’ARIA Il derby lo sappiamo noi

Ora d'aria di Paolo Marcacci

Sprovincializzare e uscire dal Raccordo Anulare: questo uno dei “target” che erano stati fissati dalla nuova dirigenza. Uno dei principali, in realtà. Forse c’è stata un po’ di confusione, forse qualcuno avrebbe dovuto illustrare meglio la differenza tra sprovincializzazione e perdita d’identità, che sono cose diverse e distanti, antitetiche in realtà.  Considerare il derby l’unico obiettivo stagionale, come per troppe stagioni ci aveva costretto a fare il livello medio della Roma, squadra e società, quello si che era un pensare da provinciali; considerare però la stracittadina un appuntamento topico per la tradizione, il rispetto della maglia, il patrimonio emotivo appartenente ad un’intera tifoseria quello non rimpicciolisce alcun orizzonte: è semplicemente un voler ogni volta, ogni campionato, rinverdire la nostra identità, il patrimonio genetico dell’essere romanisti. E anche laziali, se la questione viene vista da sponde opposte. Peraltro la Roma che nel recente passato aveva messo in bacheca Coppa Italia, Supercoppa Italiana, sfiorato lo scudetto in due campionati dal finale rocambolesco, subendo ingiustizie arbitrali evidenti e recitato un ruolo da protagonista, stabilmente, in quella Champions League che oggi appare una chimera, di provinciale aveva ben poco e dal raccordo usciva spesso, magari per recarsi al Santiago Bernabeu o allo Stamford Bridge, tanto per dire. Ma torniamo al derby, che quest’anno in particolare sembra, almeno in questa prima parte della settimana, immerso in una soluzione al cloroformio e ammantato da una foschia che rende sbiadita ed impalpabile una passione che una volta, per non dire fino a ieri, era sacrosanta e divampava ad ogni Lazio-Roma che il calendario mandava in terra, con le modalità che sappiamo ma che qualcuno sembra cominciare a dimenticare.

La Lazio sarà sempre il nemico, calcisticamente parlando, magari precisando che non è l’unico ma certamente dando per scontato che come nessun altro club avversario (esclusi certi picchi della Juventus) rappresenta il concetto. Ecco perché nella scorsa stagione a noi piacque tantissimo quella maglia di Osvaldo con la scritta “Vi ho purgato anch’io”, magari intempestiva visto quello che fu il risultato finale ma quanto romanista nell’ispirazione!
Noi ricordiamo a memoria, provando sempre lo stesso brivido, tutto quello che per cui contro la Lazio abbiamo gioito o patito, più spesso la prima della seconda in realtà: Nesta per terra a guardare dal basso Delvecchio che non si prende più; Montella in un decollo infinito; Peruzzi che con tutta la sua stazza svanisce sotto il pallonetto di Totti; La Nord che sfolla; Cassetti impazzito che si prende la Sud come un saltatore ad ostacoli fa con la medaglia; Pruzzo che  chiude la pratica contro Cacciatori; Giannini che non fa una piega di fronte alle provocazioni di Bergodi, Piacentini che colpisce al volo come mai più gli sarebbe capitato; Prati che riesce a scivolare oltre l’ultima goccia del diluvio; Balbo-Cappioli-Fonseca e il pallonetto di Annoni che per poco non viene giù Monte Mario; un Voeller di marzo che fa primavera; Julio Baptista che prende a capocciate un confetto di Totti da sinistra; il tacco di Mancini, quello pronunciato con la esse. Senza trascurare quanto abbiamo detestato Chinaglia e Di Canio con quel dito puntato contro la Sud o un Klose troppo comodo a tempo scaduto, perché il derby non si dimentica comunque, anche quando brucia e lo stesso, del resto, staranno pensando e ricordando “loro” da un punto di vista capovolto. Ecco, questo è il derby, tutti o uno qualsiasi, non fa differenza; non è difficile da spiegare perché è roba di adrenalina e crampi allo stomaco, quando si è romanisti. Di conseguenza è ancor meno difficile da capire e da condividere, quando si è romanisti.  Ben vengano allora i codici etici, se servono a migliorarci; ma non venite a spiegarci cos’è la Roma, visto che ce la portiamo appresso da sempre.  Casomai, ve la spieghiamo noi.
Paolo Marcacci
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