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IL MESSAGGERO Zeman, veleno su Vialli

Zeman

(U. Trani) – Evidenziando come il boemo guardi solo ai suoi interessi.«Sbaglia. Visto che lo faccio per me, sono rimasto dieci anni fuori dal calcio…» la replica puntuale del tecnico di Praga.Zeman è sempre lui. In campo e anche fuori. Nessuno può fermarlo. Nemmeno la Roma a stelle&strisce. Il boemo torna indietro di 14 anni, quando a Predazzo, in due differenti interviste, lanciò l’allarme sull’abuso di farmaci nel nostro calcio. Evidenziò anche il cambiamento fisico di Del Piero e appunto Vialli, i campioni bianconeri allenati a quei tempi da Marcello Lippi e più avanti finiti in tribunale davanti al pm Guariniello che indagò sulla denuncia dell’allenatore della Roma, così dettagliata da portare alla chiusura del laboratorio antidoping dell’Acqua Acetosa e alle conseguenti dimissioni del presidente del Coni Pescante. Fu la prescrizione a mettere una pietra su quell’estate caldissima del 1998 che tutti ricordano. Nella capitale, a Torino e anche nel resto d’Italia.

Oggi Zdenek riparte da lì. Perché non dimentica quello che pagò dopo il suo attacco frontale al club più potente del nostro campionato. Lo ha sottolineato anche ieri, aspettando però di lasciare la sala Champions di Trigoria, dove per contratto deve parlare davanti alle telecamere delle tv, e fermandosi con una decina di giornalisti nella piccola stanza riservata alla stampa. Si è sfogato in un ambiente più raccolto, ma anche lì alla presenza delle responsabili della comunicazione della società giallorossa. Zeman ha tirato fuori quello che aveva dentro da inizio settimana. E da quattordici anni. È stato definito, in pochi giorni, comunista e paraculo. Ne ha preso atto, spiegando che «dichiarazioni del genere ci saranno sempre». «Io sono abituato. Sta a me decidere quando farmi scivolare certe parole addosso o magari in qualche caso pure querelare». La giornata sembrava diversa dalle altre. Perché il boemo aveva affrontato interrogativi sulle caratteristiche di diversi calciatori della Roma, sulla differenza tra Lamela e Lopez, l’argentino che costruisce gioco e l’uruguaiano che è più attaccante. Inoltre si era preso la completa responsabilità per quanto detto su Abete a Sette. «Non credo di essere deferito. Le mie parole, a leggerle, sono brutte. Chiedo scusa per quelle tre parole, anche se però ne manca una, prima. Quella dovete chiederla a chi mi ha intervistato». Aggiungendo: «Ripeto, quelle tre parole che erano lì non le pensavo così come sono uscite, me le rimangio nel senso che avete capito voi. Io continuo a dire che per me nel calcio la Federazione in questi anni poteva approfittare di tante situazioni per cercare di migliorare. La difficoltà di gestione c’era anche in Germania negli anni novanta e se è stata superata, il calcio tedesco può essere da esempio per gli altri. Ma non c’era niente di personale». È stato lui a volere la rettifica, perché non voleva attaccare il presidente della Figc, anche se ammette di averne discusso poi con i dirigenti. «No, non ho sentito Abete. Fuori non ho parlato con nessuno. Dentro sì, ho spiegato quello che volevo dire e come è uscito».


Baldini,
 il dg giallorosso che fino a poco tempo fa è stato socio di Vialli di un’azienda extra calcio, e Fenucci, l’ad romanista che si occupa dei rapporti istituzionali, ieri hanno preso male il nuovo attacco di Zdenek. Che, con un bel sorriso, smentisce di avere ormai il silenziatore o che gli sia stato imposto. «Forse sono invecchiato, ma continuo a essere libero di dire quello che penso. La società non mi ha mai detto di non approvare il mio comportamento. Se è così, aspetto che lo faccia. È normale che il club voglia la tutela del nome della Roma e vuole creare le migliori condizioni per la Roma. E io mi impegno anche in questo. Io non danneggio la società, i titoli sì».


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