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IL ROMANISTA Sansonna e Zemanlandia: un ritorno infinito

Zeman

(V. Vercillo) – Amato. Odiato. Osannato o disprezzato. Dalla sua prima apparizione sul palcoscenico del calcio che conta, ZdenekZeman è riuscito ad attirare su di sé l’attenzione di tutti. Lo sguardo sempre serio, accompagnato ogni tanto da un sorriso beffardo e più enigmatico di quello della Monna Lisa. Ed è a questo mistero boemo che Giuseppe Sansonna ha voluto dedicare un documentario, Zemanlandia. Un docufilm – proiettato ieri sera al Kino Village, in una serata in onore del tecnico della Roma – che voleva «cogliere la sua parte più intima, la figura costruttiva, non quella di castigatore del calcio marcio», come racconta a Il Romanista.

Che cos’è Zemanlandia?

“E’ il primo documentario che ho fatto. E’ nato dall’idea di raccontare questo mio ricordo adolescenziale del Foggia di Zeman che andavo a vedere allo stadio Zaccheria. Vedevo questa grande squadra con questa figura carismatica, che conduceva questo gioco spettacolare. Esaltava la serie A e faceva parlare del Sud per motivi non legati alla cronaca nera.”

Perché ha scelto proprio Zeman?

“Io volevo raccontare una vicenda di calcio che fosse anche legata al cinema. Zeman ha un volto molto cinematografico. Evoca diverse significanze, non è una figura meramente calcistica. Era un uomo, in quel momento, ai margini del suo ambiente di lavoro, del calcio che conta. E l’idea era quella di proporlo, questa volta, nella sua figura non di castigatore del calcio marcio. Volevo cogliere la sua figura costruttiva, quella iniziale. Quella in cui ancora non c’erano le ombre del doping. E secondo me ha aderito alla mia proposta anche per questo, perché si parlava di quella fase primigenia di costruzione della propria filosofia di gioco”. 

Quando ha concesso del suo reale modo di essere davanti alla telecamera?

“Tanto, perché credo che si sia fidato, visto che la chiave non era quella di usarlo come figura scandalistica, come uomo su cui fare il titolo. Ha mostrato molti dei suoi aspetti più intimi, la sua ironia, il suo modo di canticchiare, di scandire il tempo canticchiando pezzi di Battisti, Venditti e di Raffaella Carrà. E secondo me è uscito un aspetto poco conosciuto, più intimo, di una persona molto seria quando lavora, ma che allo stesso tempo sa scherzare e sdrammatizzare un po’ le enormi che impone ai suoi giocatori.

L’affinità tra Zeman e la Roma da cosa nasce e perché è così forte?

“Allora, io ho scritto un libro che uscirà a settembre che si chiama “Un marziano a Roma”, scritto in buona parte dal ritiro di Brunico di quest’estate. E parlando con Tonino Cagnucci, lui mi ha suggerito una cosa che io trovo molto vera: Zeman è amato molto dai romani perché è un uomo un po’ del Nord, che ha qualcosa di alieno rispetto al romano. Però il romano si fida perché ne coglie proprio l’alterità. Un senso di familiarità, che può arrivare con Mazzone, non fa scattare quel senso di divinazione che può venire magari davanti a Zeman. Secondo me il tifoso romanista fida del suo amore per il lavoro. E quindi anche se è passato dalla Lazio alla Roma lui riesce ad essere amato da entrambe le tifoserie e a non creare acredini: un caso più unico che raro nella storia cittadina”.

L’aneddoto che ricorda con più affetto delle riprese dei documentari?

Sono due in realtà. Il primo è stato quando ero con lui, durante una pausa del ritiro con il Foggia. E un esponente dello staff del Foggia mi ha detto “Ah, ma con Zemanlandia li hai fatti i soldi?”. E insomma, ironicamente osservava che con il cinema, con i documentari di soldi non se ne facessero molti. Zeman in quel momento sembrava assente, tanto era assorto dai suoi pensieri. E invece all’improvviso è intervenuto nella conversazione dicendo: “Ma lui non l’ha fatto per i soldi. Lo fa per la gente” (imita la voce del boemo, ndr). Ha creato un’analogia tra il mio modo di interpretare il cinema e il suo modo di interpretare il calcio che mi ha emozionato in quel momento”.

E il secondo?

“È legato alla fase delle riprese. E’ avvenuto durante la partita che doveva sancire il passaggio ai Play Off del Foggia a Terni. Io ero attaccato alla sua panchina, con il mio operatore. Il Foggia doveva vincere quella partita, era tranquillamente alla sua portata. Solo che ha preso dei gol stupidi e stava perdendo addirittura 3-2. La vittoria ormai era sfumata, ma c’era ancora la possibilità di ottenere un pareggio. Al 95’, bellissima azione del Foggia: l’attaccante, Sau, arriva sul fondo, tira in diagonale. Tutta la panchina si alza, quasi già per esultare. L’urlo ci rimane strozzato in gola perché la palla sfiora il palo ed esce. Tutti disperati, ma lui si gira e ci ritroviamo i nostri nasi a 10 cm di distanza. Io tipo “Urlo di Munch”, con le mani tra i capelli, disperato. E lui mi guarda e abbozza un sorriso alla “Gioconda”, uno di quei sorrisi enigmatici e indecifrabili. Come per dire: “Questa è la vita, mignotta”. E quella sua impassibilità e quel suo sorriso davanti all’impossibilità a volte di sfuggire a certi eventi mi ha ha un po’ emozionato e un po’ divertito. Perché è anche un po’ il suo modo di vivere il dramma: una volta accaduto ciò che non volevi accadesse, è inutile bestemmiare. Tu hai fatto tutto il possibile, poi “basta un ciuffo d’erba”, come dice spesso lui, per deviare il corso di certi eventi.

Un aggettivo per Zeman?

“Spiazzante”.

 

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