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IL ROMANISTA Zeman 2 la vendetta

Zeman

(P.Franchi) – Ho sempre detestato le autocitazioni, già al liceo non sopportavo Fanfani (“come l’allora segretario politico ebbe a dire…”) e persino La Malfa (“Il problema lo posi già con la mia Nota aggiuntiva del 1962…”). Ma, perdonatemi, questa volta proprio non ce la faccio a resistere. E dunque. “Caro Zeman, che devo dirle? Con lei se ne vanno i sogni di tante domeniche, le corse in motorino verso l’Olimpico nella speranza di vedere ancora una volta il calcio più bello mai praticato da queste parti, i pischelli che si abbracciano e cantano senza credere ai loro stessi occhi, la convinzione che si può vincere anche se stai sotto di due gol e perdere anche se si sta sopra di due. Esulta l’Arciconfraternita dei cretini, starnazzano i mediocri, si esaltano quelli che ci vuole la mentalità vincente e, sull’uno a zero, palla in tribuna…Non c’è ricordo di sconfitta esterna o di partita buttata via né speranza nel pur bravissimo Capello che valga a mitigare la tristezza. La Sua Roma è stata nel bene e nel male, nelle grandezze e negli orrori, quel tanto di Utopia cui, poveri fessi, credevamo di avere diritto anche in questi tempi mediocri”. Così scrivevo, correva l’anno 1999, ed era il primo di giugno, sulle pagine dell’edizione romana del Corriere della Sera quando, “per motivi politici”,Zeman fu allontanato dalla Roma, secondo la regola antica per la quale tocca sempre ai giusti subire ingiustizia. Sono passati tredici anni, mai mi è passato per la testa di rinnegare una virgola di quello che scrissi allora. Non è la prima volta, si capisce, questo di costringere la gente a interrogarsi è un dono naturale, e forse anche una maledizione, del Gran Boemo. Ma stavolta la cosa è particolarmente seria. Per dirla in breve: possono davvero ritornare, e in grande, i sogni infranti e le utopie sconfitte e, nel caso, possono incarnarli, infischiandosene della patina del tempo, delle cicatrici, delle dure repliche della storia, i loro antichi protagonisti?Forse questa è una triste illusione da vecchi ragazzi, forse per azzardare qualche buona risposta alle terribili domande che ci pongono (non solo nel calcio, ahimé) questi tempi così oscuri servono idee e forze radicalmente nuove. E’ in questa logica, in fondo, che molti di noi sono stati – appassionatamente, dolorosamente – dalla parte di Luis Enrique. Perché non rimasticava passato, ma indicava, o cercava di indicare, una prospettiva d’avvenire, come, nel calcio, solo un giovanotto culturalmente formato alla grandissima scuola del Barcellona e di Barcellona poteva farlo. Non sarà per caso che, riabbracciando Zeman, come è bello e giusto che sia, stiano tornando a impegolarci in tutti i nostri ieri? Io queste domande me le faccio, ma come può farsele uno zemaniano fradicio, anzi, fracico. E quindi qualche risposta già me la do. La prima, quella che ha valore assoluto, non è mia, ma di Antonio Albanese alias Frengo: “Zeman è un sentimento”, e la nostra gente i sentimenti, quelli veri, li nutre e li coltiva. La seconda, conseguente alla prima, è che per noi Zeman non è un ritorno al passato, ma un fantastico ritorno al futuro (un futuro che, come ci spiegò Carlo Levi, ha un cuore antico), così meravigliosamente incredibile che in tutti questi anni non abbiamo mai osato sperarci neanche un po’. La terza è che Zeman (ho seguito in tv la sua ultima conferenza stampa a Pescara, mi sono commosso e ho intonato da solo, a tarda sera, in salotto: alé alé alé, Zeman alé) fa a sessantacinque anni più calcio di sessantacinque giovanotti messi insieme, come sanno i pescaresi e come so anch’io, che ho comprato tutte o quasi le partite del Pescara di quest’anno, tifando come raramente mi capita persino con la Roma. La quarta è che Zeman è l’esatto opposto dell’idea e della pratica del calcio dominanti, e di questa sua operosa ostilità ha pagato tutti i prezzi possibili e immaginabili: è giusto, anzi, sacrosanto, che di questo sia ripagato proprio qui, nella speranza, anzi, nella certezza, che sarà lui, comunque vada, a ripagarcene. Ne avrei anche moltissime altre, ma mi fermo qui. (…)

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