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IL ROMANISTA Ecco come si è ripreso Trigoria

Zeman

(C. Zucchelli) – È stato scelto lui, Zdenek Zeman, perché è risultato il più idoneo. Come allenatore e come uomo, aspetto questo che a Trigoria non si vuole sottovalutare. Zdenek Zeman è il nuovo tecnico della Roma perché la Roma lo ha scelto oltre un mese dopo l’addio di Luis Enrique. Lo spagnolo il 25 aprile, giorno del ko interno contro la Fiorentina, ha comunicato ai dirigenti la volontà di non proseguire la sua avventura in giallorosso. Dal giorno dopo Baldini e Sabatini, preso atto che Luis era irremovibile, si sono messi al lavoro per cercare un sostituto. E Zeman è sempre stato nell’elenco dei candidati. Un elenco che comprendeva nomi noti, come Montella e Villas Boas, ma anche nomi che in questo periodo la società ha provato a tenere nascosti. Un esempio: Emery. Baldini ci ha parlato prima che si accordasse con lo Spartak Mosca, si è trattato di un colloquio o poco più. Zeman ormai era in vantaggio, uno dei primi a saperlo è stato Francesco Totti. Così come Totti, prima dell’accelerata col boemo, sapeva che Montella era un candidato forte. Non l’unico, come hanno sempre sottolineato da Trigoria.  È vero che Vincenzo, almeno inizialmente, sembrava anzi era in vantaggio rispetto agli altri. Poi qualcosa è successo. Cosa? Non ha convinto i dirigenti della Roma. E l’accordo, che già si preannunciava difficile viste le resistenze di Pulvirenti e del Catania – che solo ieri pare aver liberato il suo allenatore – è saltato. I problemi non sono stati solo economici. Montella chiedeva uno stipendio stile Luis Enrique e la Roma era anche disposta, tra parte fissa e bonus, ad accontentarlo. I problemi sono stati di altra natura. Montella non era soddisfatto della rosa attuale in quasi tutti i reparti e avrebbe voluto una rivoluzione tecnica che la Roma non poteva né voleva fare. Perché, e questo Sabatini lo ha detto anche pubblicamente, «il processo di demolizione dei nostri giocatori non ci va giù. Crediamo nei ragazzi che abbiamo ». Ovviamente non in tutti allo stesso modo tanto che qualcuno, come logico, resterà e qualcun altro, come altrettanto logico, andrà via. Con André Villas Boas il discorso è stato più complesso. Piaceva a Baldini, piaceva a Sabatini. Era una prima scelta lo scorso anno, quando non fu preso perché la Roma non aveva alcuna intenzione di pagare al Chelsea la clausola rescissoria al Porto, lo era anche quest’anno. Ma le sue richieste erano troppo esose: voleva uno stipendio di primissimo livello, voleva uno staff intero a disposizione – compreso ufficio stampa personale – e voleva una squadra in grado di vincere subito. Campionissimi affermati, dallo stipendio improponibile. Almeno per ora. Un altro nome caldo era quello di Marcelo Bielsa. Anche lui piaceva ai dirigenti giallorossi – Sabatini ha un debole per lui – ma le strade sue e della Roma non si sono incontrate: lui era restio a lasciare Bilbao, una squadra e una città che gli hanno dato tanto, la Roma non se la sentiva di prendere un allenatore sì esperto ma poco avvezzo al calcio italiano e alla piazza romana. L’esperienza Luis Enrique, in questo senso, ha insegnato. Anche Zeman aveva qualche controindicazione. Una, ad esempio. Il boemo, quando qualcosa non gli va giù, non ha peli sulla lingua. E di arbitri parla spesso e volentieri, un aspetto che a Trigoria hanno cercato di eliminare o, quantomeno, limitare. Alla fine però, dopo aver analizzato tutti gli allenatori cercati, è stato scelto lui. Perché i pregi hanno superato i difetti. D’altronde è così che funzionano, da sempre, le storie d’amore. E quella di Zeman con la Roma lo è.

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