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CORRIERE DELLO SPORT Onore a Lucho e mistero boemo

Luis Enrique

(G. Dotto) – Onore a Lucho. Il suo addio è una sconfitta che lascia molte vittime sul campo. Purché si sappia e si dica che lui, Enrique, di tutte è la vittima minore. In queste ore coccodrilli sparsi lacrimano a sproposito al capezzale dell’ex, lasciandosi andare a liriche bestemmie del tipo “Roma non ti merita”. Roma non ti merita? Se c’è una vittima totale, struggente di questo addio crudele non è Enrique, ma il tifoso romanista.Per come ha amato il suo adorabile marziano, per come lo ha atteso, giustificato, sopportato e poi forse a malincuore contestato e per come ora si dispiace.

Sì, dispiacere. Questo è il sentimento palpabile nella Roma giallorossa. Un sentimento nobile, discreto, che non si strappa i capelli, ma si lecca la sua piccola e in fondo abnorme ferita per quello che è, dopo tutto, un alieno di passaggio. Strano cinismo quello dei romani (che sia solo una friabile maschera?). Perché Enrique si è fatto amare e perché Enrique ha incarnato davvero una smisurata illusione. Perché questa illusione l’abbiamo toccata davvero, carne, palla, gioco, luce, per non più di trecento minuti sparsi, tra Napoli, Bologna, all’Olimpico con l’Inter e sprazzi qua e là. Poi è sparita. E ancora ci chiediamo perché. Detto questo, evitiamo di farci fessi, la stagione della Roma è stata un fallimento totale. E, se “fallimento” è una parola odiosa e iniqua, chiamatela come volete. Lo spagnolo non ha espresso un concetto molto dissimile nel congedarsi, certo più virile dei suoi tanti ammiratori che proprio non ce la fanno ad ammettere che la vita a volte non si allinea ai nostri desideri.

(…) Anime infinitamente meno luminose di Lucho hanno trovato quella chiave (vogliamo citarne più di una? Hanno solide panche tra Torino e Madrid). Bravi loro. Si smette di essere adolescenti quando riesci a dare corpo ai tuoi sogni. Luis Enrique è ancora un magnifico adolescente del calcio. Buona fortuna.

BENTORNATO A CASA – Davvero. Mi lasciò subito supefatto Montella, questo napoletano secchione e malinconico, per la personalità con cui trasferì se stesso dal calcio foruncoluto dei mocciosi che arrivano a Trigoria con la mamma al seguito e i divi supercarrozzati che guardano il mondo dalle loro cime. Lo congedano per via della “discontinuità”, bella parola che aspetta ancora di avere un abito addosso, incassa la delusione, non un lamento, se ne va zitto a Catania, piazza complicata, e in un baleno conquista tutti, picciotti scettici inclusi. Tutti hanno ammirato il suo calcio molto prossimo a quello spallettiano, rapido, chirurgico, triangolato. Ma io mi fido di Montella per come è venuto a capo di due sofferte vicende extracalcistiche. Ricordate il mai decifrato dolore alla schiena? Quando psicosomatizzò una vicenda privata molto dolorosa, segno di una sensibilità estrema e non compresa dai più. Ancora di più forse lo ammiro per come, a partire da una balbuzie oggi quasi impercettibile, è diventato uno dei comunicatori più sagaci del circo, senza scimmiottare nessuno, confessando carattere, intelligenza e ironia.

MISTERO BOEMO – Preso atto che a Roma non tornerà e continuerà a sfogare il suo splendido calcio a Pescara o altrove, resta il mistero Zeman. Vittima di un’omissione collettiva, che è quasi un tabù. I tifosi lo amano, ma i dirigenti del calcio fanno quasi fatica a nominarlo. Si sono fatti i nomi più improbabili per la panchina della Roma, mai quello di Zeman. Moggi e Baldini sono nemici dichiarati, simboli di due “visioni” antitetiche del calcio, eppure uniti, loro e tanti altri, nella stessa idiosincrasia, il nome di Zeman.

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