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IL ROMANISTA Moro non ti dimenticheremo

La maglia dell'Udinese di Morosini

(G.Manfridi) – Approfondimenti. Da giorni stiamo vivendo di approfondimenti. Di competenze esibite, di saccenterie e di narcisismi. Di messe in mostra esequiali e di contrizioni tirate fuori dall’armadio delle buone maniere.

Tutti che vogliono fare bella figura o che dichiarano di averla fatta, di aver preso le decisioni giuste, sofferte ma giuste, com’era giusto che il mondo del calcio si fermasse per una giusta (…) riflessione. Moltitudini di burocrati che con aria schiva e con l’intento di non darlo a vedere si prendono meriti che mai avrebbero voluto prendersi, così dicono, e che si battono il petto recitando mea culpa non richiesti, ma troppo forte è il bisogno di mostrarsi penitenti, di fare la parte di quelli che non rifuggono dalle responsabilità, dalle prese di coscienza, che riconoscono gli errori collettivi e che si sentono parte in causa. Sicché, tutti a bordo della grande colpa nazionale, tutti compartecipi del lutto e dello strazio. Ma non sarà che starne fuori pesa? Non sarà che in questi giorni il mastodontico funerale mediatico organizzato per una creatura raggelata nel silenzio della morte vera ha assunto le sembianze di un sinistro invito a castello insinuando in chi potrebbe restare fuori l’insopportabile sensazione di non esistere?

Anche stavolta l’Italia non ha resistito alla tentazione di essere se stessa come sa esserlo quando può esserlo al peggio. Ho visto Morosini cadere e tentare di rialzarsi. Tre volte. Come tre volte, racconta Shakespeare, venne offerta la corona a Cesare e per tre volte Cesare la rifiutò. Tre volte sanciscono un gesto definitivo a cui la cabala fa da sigillo. Tre volte esprimono il numero della drammatica perfezione raggiunta per via del sacrificio, alludono alla trinità metafisica, e alla struttura di ogni pensiero risolto e compiuto. Tre volte vuol dire: una volta per tutte. Oltre una terza non c’è più margine. Tesi, antitesi e sintesi. (…) Ma quante volte, quelle tre volte, sono andate e ancora vanno in sequenza nei nostri schermi come un refrain visivo capace, nel suo ripetersi a oltranza, di diluirsi in una cadenza sfatta di figurine in movimento? Quelle tre volte riproposte per l’ennesima volta quasi sbiadiscono, scompaiono, e tu, costretto all’ottusità consustanziale di una videodipendenza che ti ha marcito l’anima, che fai? Senza che quasi te ne rendi conto cominci a guardare ciò che avviene attorno a quelle tre terribili volte contornate sadicamente dalla grafica di un cerchietto (…), e ti metti a notare lo spostarsi degli altri giocatori in campo, l’arbitro di spalle, e qualcuno che ancora calcia il pallone in uno strascico di partita già abitata dalla tragedia a propria insaputa.

E tutto si fa acquario; finanche il cerchietto che illustra l’epicentro della notizia trasformandola in una sorta di bersaglio da videogame; l’enorme è denervato e la vera colpa tranquillamente accettata, che poi sarebbe la colpa (…) di rimanere lì a dire: “Io ho visto, io so”; dunque: io c’ero. E’ questo il senso del nostro odierno ‘Io c’ero’: non esserci in realtà quasi mai, ma l’aver potuto vedere e rivedere sino all’autoincantamento ciò che se non avessimo visto ci farebbe sentire degli sminuiti, degli esiliati. Premuti da questa necessità, tocchiamo il vertice della perversione quando finiamo addirittura con l’accusare l’ipnotizzatore che ci ipnotizza: “Ma basta, non se ne può più!”. Però intanto stiamo lì, stuprati dalla cronaca che nessun poeta sa più tradurre in Storia. I tre tentativi di Morosini raccontano l’impeto della vita che si sente azzannata dalla morte per ciò che essa, quando arriva, vuole fare di noi: trasformare un uomo in un oggetto. Ebbene, ecco un uomo che si ribella al suo divenire oggetto! Eccolo lì! Quanto è impudico il nostro patetico intrometterci nel pieno della sua lotta spaventosa, enorme! La stessa che toccherà a ciascuno di noi, poiché “Dio pretende dagli uomini l’impossibile, / li obbliga a morire”, sono versi di Angelo Maria Ripellino che ricordano quelli di John Donne: “Non chiedere mai per chi suona la campana, suona per te”. Ma abbiamo voluto imporci una pausa di riflessione? Usiamola per domandarci, io per primo: quante volte abbiamo scostato lo sguardo?

E quante, e in quanti, abbiamo coinvolto chi ancora era ignaro di quelle immagini esclamando: “Le devi vedere assolutamente!”. O magari, con infingarda malizia, quante volte abbiamo istigato morbose curiosità in modo traverso: “No, evita, non le guardare, sono davvero scioccanti!”. Di qui certe prime pagine; di qui profluvi di inutilissimi cordogli. Tranne quelli di alcuni, e questi alcuni mi sono parsi perfetti. Balotelli, ad esempio, che ha dichiarato di voler cogliere da quel che è successo tutta la vita possibile per cercare di portare salute alla propria. Come perfetto è stato Di Natale. Lui sì che si meritava di dire: “Fermiamoci”. Peccato che a noi segni parecchio, poiché da oggi vorrei esultare per tutti i suoi gol.

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