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IL ROMANISTA. Quelli che… scaramanzia, portami via

Tifosi ROma

(H. S. PARAGNANI) – Il cameriere ha una certa fretta. È il weekend e il personale scarseggia, lui da solo deve servire venti tavoli pieni. Non si lamenta, anzi dispensa battute simpatiche e sorrisi a tutti i clienti, hai solo l’impressione di dovergli star dietro tu, invece dovrebbe essere il contrario, ma vabbè. Ai Marmi, a Trastevere, pizzeria storica che nota come l’Obitorio ai frequentatori abituali, fanno una fantastica pizza romana, bassa e croccante e il servizio è veloce proprio per gli sforzi dei camerieri. Max ha una marcia in più e dopo che l’ho sentito prendere in giro Reja con un tavolo di avventori inopinatamente laziali (lo chiama “Reja l’asino che Raja”) decido che si merita una mancia esagerata. Lo intercetto e gli chiedo come si sente che andrà a finire il derby. «Dipende da mi moje», mi risponde deciso. Devo avere una faccia a punto interrogativo perché mi spiega. Sposati dal 1989, Max si accorge presto che quando va d’amore e d’accordo con la donna delle sua vita la Roma perde il derby e che quando litigano di brutto è la Lazio ad avere la peggio. «Fortunatamente litigamo spesso, all’andata me so’ distratto, era il compleanno suo e j’ho pure fatto un bel regalo e è annata com’è annata… ma domenica non ce so’ santi: me faccio butta’ fòri de casa. Ho già cominciato a falla arabbia’… j’ho detto che su sorella è più bella de lei. Capirai… me vo’ ammazza’!»

Grande Max. Lui sì che ha capito il significato vero della parola“scaramanzia”, tanto da mettere in serio pericolo il suo matrimonio ultraventennale pur di ingraziarsi le stelle e vincere la stracittadina. Il dizionario Devoto-Oli recita freddamente che la scaramanzia è solo una forma di superstizione secondo la quale alcune frasi o gesti attirerebbero o allontanerebbero la fortuna o la sfortuna. Ma applicata al derby, quindi all’episodio calcistico emotivamente più coinvolgente della stagione in una città già piuttosto su di giri, diventa causa di racconti paradossali quando non esilaranti in cui anche l’uomo più razionale obbedisce all’illogico bisogno di fare cose assurde o persino augurarsi il contrario di quanto spera che accada. D’altronde è per questo che è rimasto il detto “in bocca al lupo”, augurio di buona sorte in origine destinato ai cacciatori al posto del più logico (ma considerato menagramo) “buona caccia”. Possibile che nel Ventunesimo Secolo si creda di poter influenzare il risultato di una partita senza scendere in campo? Al quartiere Trionfale, bar Bacco e Tabacco, il titolare pensa proprio di sì, tanto da postare a ogni vigilia di derby un beneaugurante “Ammazzamoli!” (sportivamente parlando, aggiunge) sul proprio profilo FaceBook. «Mio fratello – aggiunge sottovoce ammiccando al ragazzo dietro al bancone – un po’ mi copia ma il suo post è irriferibile…». Un cliente interviene e confessa di giocarsi sempre la Lazio vincente per 3-1 alla Snai. Gli faccio notare che almeno quel tremendo derby della Befana del 2005, (il secondo deciso da Di Canio dopo quello del 1989) si sarà riconsolato, magari con una bella bottiglia di vino per dimenticare la sconfitta. «Ma io mica le tengo le ricevute – mi fa – Appena gioco le butto nel cestino fuori dalla ricevitoria. Non potrei mai godermi i soldi di una vittoria dei cugini!». Non lo abbraccio solo per non sollevare dubbi sulla mia sessualità.

Edoardo Leo
, attore e neoregista in rampa di lancio, membro dell’AS RomArtisti, vedrà il derby accanto al figlio, attento a dove schierarsi sul divano. «Sono come Sheldon Cooper di Big Bang Theory, il posto è assegnato a meno che non vada male qualcosa… in quel caso cambio formazione». E se c’è qualche laziale? Dove lo sistemi? «Fuori dalla porta!». Giusto. A mali estremi estremi rimedi. D’altronde tra i numerosi romanisti del mondo del cinema si racconta la storia del grande operatore Roberto Gengarelli, uno dei massimi “fuochisti” della celluloide, giallorosso viscerale e abbonato in Tevere che aveva rifiutato ogni film fuori Cinecittà per non perdersi la partita della Roma e che un anno, spinto da un’offerta faraonica aveva deciso di accettare il “Marco Polo” di Lattuada: un anno di lavoro in Cina cui sacrificò il posto in Tevere Centrale. Era il 1983 e senza di lui sugli spalti la Roma si cucì il secondo scudetto sulle maglie, salvo rientrare l’anno dopo. Qualcuno provò a rinfacciargli la sua presenza ma il fumantino Gengarelli li rimise a posto con le buone e soprattutto con le cattive e il suo nome non venne mai accostato a gufi e menagrami. D’altronde non lo meritava, visto che nelle sperdute regioni della Mongolia organizzava ponti radio nelle tende dei nomadi per seguire in onde corte la Roma a Tutto Il Calcio Minuto per Minuto. Il regista Fausto Brizzi imputa ai laziali la doppia nevicata che ha impedito alla sua commedia Com’è Bello Far l’Amore di sbancare fin dal primo weekend il box office nostrano com’è uso fare dai tempi di Notte Prima degli Esami. Ormai di casa a San Lorenzo, Brizzi già da una settimana evita come la peste il bar di laziali di via Tiburtina. «Mi nego i cornetti migliori della zona ma dopo il derby d’andata è meglio prevenire. Prima del derby di andata mi ero lasciato sfuggire dichiarazioni battagliere che mi sono state puntualmente rinfacciate. E quando ti rode anche le brioches più buone ti vanno per traverso».Chiamiamola scaramanzia preventiva. Come quella di Marco, tranviere cresciuto romanista da una famiglia laziale. Convinto, grazie a stracittadine perse e altre trionfali, che nella settimana del derby deve evitare qualsiasi contatto con parenti aquilotti altrimenti la Roma non vincerà. Scaramanzia che sembra accettata anche dai parenti di Marco che invece cercano di sentirlo per ingraziarsi Eupalla. Marco ci crede così tanto che durante la settimana precedente spegne il cellulare fornendo il numero di reperibilità solo alla fidanzata di provata fede giallorossa. Per cinque derby ha funzionato alla grande. Fino a che, lo scorso ottobre, il subdolo fratello minore Enrico (abbonato biancoceleste in nord) ha addirittura finto di essere ricoverato al CTO per un infortunio piuttosto serio così da farsi dare il suo recapito. Marco sente sulle sue responsabilità il gol di Klose come lo stesse marcando lui e non Cassetti. «Stavolta non mi ci fregano però… tanto manco la fidanzata ho più, me mettessero il sale sulla coda!» E se Maria Sensi racconta che l’ex Presidente Rosella il giorno della partita cucina gnocchi per tutti, con tanti saluti alla sua proverbiale attenzione alla linea, Jamaal scrupoloso portiere di origine somala di un condominio a Conca d’Oro, il giorno del match parla solo ed esclusivamente nella sua lingua, sennò sono guai. Di solito gli va bene perché domenica i portierati sono chiusi, ma nel 2005 la ripetizione infrasettimanale gli costò quasi il posto di lavoro. Fu arduo spiegare all’amministratore, «fortunatamente romanista…» perché aveva suscitato le ire dei condomini rispondendo solo in somalo alle richieste di lettere e di ritirare la spazzatura.

Di tutte, la scaramanzia più curiosa è quella che mette in atto con un certo successo Leonardo, impiegato alle Poste e abbonato in distinti sud. Vede i derby rigorosamente allo stadio e li salta solo per impedimenti lavorativi o per cause di forza maggiore ma da quando, nel famoso 3-1 zemaniano del 1999, si scordò nell’armadio la sua sciarpa portafortuna. La Roma vinse e Leonardo, impazzito dalla gioia, acquistò una sciarpa fuori dallo stadio per esultare durante il ritorno a casa. Da allora, ogni volta si presenta allo stadio senza sciarpa e ne acquista una alle bancarelle solo dopo una vittoria. «Adesso il mio armadio è zeppo di vessilli, ma per me è come una cantinetta… ogni sciarpa è come un buon vino di un’annata diversa che profuma di vittoria...». Leonardo non è preoccupato e litiga con la moglie per quelle sciarpe. «Un’altra?! Ma che ce farai…?”. Me lo dice ogni volta e spero che me lo dica anche domenica pomeriggio, ne ho puntata una ufficiale, adesso che hanno messo gli Store nello stadio…». Speriamo di vedergliela sfoggiare, malgrado le perplessità della consorte. A tutti non ci resta che augurare, come fa sempre l’ultras Maria Pia, segretaria di un noto studio legale, “in bocca alla lupa e crepi il laziale”. Sportivamente s’intende.

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