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IL ROMANISTA. “La Coppa Italia è una storia nostra”

Bruno Conti

(M.Macedonio) Non è certamente un inedito il confronto tra Roma e Fiorentina in Coppa Italia. E l’ottavo di finale in programma stasera, sia pure a turno unico, non può non far tornare alla mente almeno un paio delle passate sfide. Una di queste risale alla stagione ‘85/86, quando le due squadre si affrontarono in semifinale, a primavera inoltrata: partita di andata a Roma, il 28 maggio, ritorno a Firenze, il 4 giugno. «Ricordo bene quella gara – racconta Ubaldo Righetti, autore del primo dei due gol con cui la Roma si impose sui viola. –Soprattutto per un episodio. Prima dell’inizio, infatti, passando sotto la Tribuna Tevere, dov’era seduto Antonello Venditti, mi avvicinai a lui dicendogli che avrei segnato e che, se così fosse stato, gli avrei anche regalato la maglia. E così andò. A fine partita, tornai naturalmente sotto la Tevere per tener fede alla promessa». Il gol non era propriamente nelle sue corde. «In effetti è così. E quindi, mi fece ancor più piacere aver potuto rispettare quell’impegno. Segnai su punizione, con una botta da fuori. Ricordo che in porta, nella Fiorentina, giocava Paolo Conti. E sempre con loro c’era anche Aldo Maldera, altro nostro ex. Una bella squadra quella viola, con Oriali, Gentile, e la coppia d’attacco Monelli e Massaro. Noi, invece, eravamo i “ragazzi terribili”…». (…)  «In campo c’erano Tovalieri, Lucci, Desideri, Giannini, con Gregori in porta». E non solo. In quella formazione giocavano anche Mastrantonio terzino sinistro e Stefano Impallomeni all’ala, in una delle poche loro apparizioni. «Del mio gol ricordo anche che lo feci sotto la Sud. E che festeggiai con i compagni, anche senza correre verso la curva». Un gol che arrivò intorno al quarto d’ora del primo tempo, seguito a distanza di tre minuti dal raddoppio di Sandro Tovalieri, per un 2-0 che fu sufficiente a garantire l’accesso in finale. La partita di Firenze si sarebbe infatti conclusa sull’1-1, con il vantaggio di Giannini e il pari di Monelli, che fecero da prologo alla sfida con la Sampdoria, contro la quale la Roma portò a casa, quell’anno, la sua sesta Coppa Italia. Più recente, invece, il secondo confronto che torna alla mente tra quelli con i gigliati. Siamo nella stagione 2004-05, e da appena tre giorni, ovvero dalla sconfitta maturata a Cagliari con Delneri in panchina, la squadra è stata affidata da Rosella Sensi a Bruno Conti, giusto nel giorno del suo 50° compleanno, il 13 marzo. «Mi arrivò la telefonata mentre ero insieme a mio figlio Daniele e a tutta la famiglia. E per la mia storia nella Roma, e l’affetto verso quei ragazzi, non potevo certo dire di no» racconta Bruno Conti. La gara, di mercoledì, cade quindi il 16 e vede la Roma andare a Firenze forte, si fa per dire, dell’1-0 (gol di De Rossi) con cui si era aggiudicata la gara di andata il 26 gennaio. «Il mio esordio in panchina – ricorda ancora Bruno, non senza una certa emozione – contro il mio amico Dino Zoff. Quello all’Olimpico ci sarebbe stato poi, con quel grande “7” che ancora mi porto dentro. Una partita, quella di Firenze, in cui buttai dentro tanti dei miei ragazzi. Da Curci a Scurto, tutti e due protagonisti di quella sfida, uno con le sue parate, l’altro per aver messo a segno il rigore decisivo. Ma anche, con me in panchina, Pipolo, Corvia, Virga, Marsili… tutti giovanissimi. Va detto anche che la Fiorentina fece una grande prestazione, avendo in squadra giocatori come Miccoli, Pazzini, Chiellini… Per noi, la grande soddisfazione di aver lottato fino all’ultimo, contro tutto e tutti.Non potrò mai dimenticare, a fine gara, tutti i ragazzi che mi corsero al collo, Francesco Totti in testa. E poi tutti sotto la curva, dai nostri tifosi. Un ricordo bellissimo ». La partita si era messa subito male, con l’autorete di Ferrari, ma soprattutto con le espulsioni di De Rossi e dello stesso Ferrari, nei tempi supplementari. «Fu una partita combattuta fino all’ultimo minuto, anche in nove, calci di rigore compresi. E, tenendo conto che la Fiorentina aveva creato tante occasioni, la soddisfazione fu anche maggiore. Una voglia di combattere che ci avrebbe accompagnato fino all’ultima giornata del campionato. Con i ragazzi che hanno messo in campo sempre una grande compattezza e la voglia di arrivare a quell’obiettivo così delicato. Fino a quel gol di Cassano a Bergamo, che fu come una liberazione, al termine di un anno di grande tensione. Con Totti che ci venne a mancare nelle ultime partite». Torniamo a quella partita, con quei ragazzini in campo. Curci, classe ’85, e quindi appena ventenne, e Scurto, ’84, come Aquilani. Ma anche con gli ’86 e oltre, che quell’anno si presero comunque la soddisfazione di vincere il campionato Primavera con Alberto De Rossi. «E’ proprio così. Scurto, che entrò dalla panchina, fece molto bene anche in fase difensiva. Quando con i rigori si andò ad oltranza, dopo i cinque iniziali, in cui Curci aveva parato quello di Miccoli rimettendo a posto le cose dopo l’errore di Cassano, misi dentro anche lui, che già in Primavera ne aveva realizzati più d’uno. Del resto, non ne avevo altri, viste anche le espulsioni e i cambi. E il caso ha voluto che fosse proprio il suo, dopo quelli segnati da Cufrè e Perrotta, a regalarci il passaggio del turno. Si sentì di tirarlo, e lo fece con una freddezza unica». Manco a dirlo. Era anche lui uno dei suoi ragazzi. E quella sera, mai avrebbe potuto sbagliare.

 

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