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IL ROMANISTA. Falcao: “Roma, non fare a meno di De Rossi”

Daniele De Rossi

(D.Galli – P.Moure) – «Questa Roma qui non può fare a meno di De Rossi». Punta del Este, Uruguay. È il mare del Divino. Paulo Roberto Falcao si sta godendo il relax dell’estate australe. Niente calcio, please. O meglio, niente calcio però la Roma sì. Di Roma parla, la segue, la commenta con gli amici. Ha vinto uno scudetto e due Coppe Italia, accarezzato appena una Coppa Campioni e ancora oggi è la risposta alla domanda che chi è nato dopo l’83: chi è Falcao?, Falcao – figlio mio, che domande – è stato la Roma.«Come lo è De Rossi adesso. È l’oggi e il domani della società». Dall’altra parte del mondo, Paulo Roberto non dice cose dell’altro mondo. Dice quello che pensa, quello che a Daniele ha detto di persona una volta. Cinque anni fa. Il Divino se lo ricorda bene. Era il 2007. All’Eur. Falcao sta dando un’occhiata a delle camicie esposte in un negozio quando incrocia lo sguardo di De Rossi. Si fermano a scambiare due chiacchiere. Falcao gli dà un consiglio: «Sei un giocatore straordinario, hai fiato, visione di gioco e tecnica. Se riuscirai a controllare il tuo impeto, diventerai il più grande centrocampista del mondo». Picchia, ma con giudizio. Questo è il senso del suggerimento del Campione al Campione, del numero 5 al numero 16, del settimo Re di Roma al Capitan Futuro. Dice Falcao al Romanista: «La Roma non può fare a meno di De Rossi, perché sa interpretare molto bene tatticamente la partita, perché sa segnare, perché è un leader. È l’oggi e il domani della Roma». De Rossi è semplicemente tutto quello che si potrebbe chiedere a un mediano che non fa una vita solo da mediano, ma pure da centrale difensivo, intermedio di centrocampo, trequartista all’occorrenza. Un tuttofare a prezzi in linea da quello che è: un top player, uno fico, uno che se ne devi andare a cercarne un altro – che so, Xavi? – non spendi mica meno di 40 milioni. Il Divino non lo confessa (o sì?), ma per De Rossi ha un debole. Ottobre di otto anni fa, in un’altra intervista concessa proprio al Romanista, Falcao lo piazza almeno un paio di gradini sopra Cassano: «De Rossi ha carattere e fisico, è il futuro di questa squadra, mentre Cassano va aiutato a crescere». Touché, Totò. E quando Daniele non attraversa un periodo felicissimo, Falcao lo giustifica: «È normale che possa attraversare un momento no. Ma poi i grandi sono capaci di uscire fuori dalle situazioni difficili. Perché hanno il vantaggio di saper giocare al calcio». Non è amore, è un’oggettiva valutazione che il Divino fa dell’uomo-giocatore-tifoso romanista Daniele De Rossi. L’uomo di cui «la Roma non può fare a meno». Chiaro il concetto, no? E se non è amore quello di Falcao per De Rossi, è amore quello di De Rossi per Falcao. Però ci sta, perché Daniele, nato nell’83, è esattamente quel figlio che chiede al papà Albertochi era Paulo Roberto. «Non potevo mica prendermi il 9 – disse una volta De Rossi, spiegando perché in azzurro aveva voluto la maglia numero 5, quella del Divino – e il 5 è un numero che mi è sempre piaciuto. Avrei voluto prenderlo anche alla Roma, ma lo prese invece Mexes che aveva appena firmato (nel 2004, ndr). So che il 5 a Roma rappresenta Falcao, giocatore simbolo del secondo scudetto, ma ho preso il 16 perché è il giorno in cui è nata mia figlia». La figlia. Gaia. Ecco, quello sì che è Amore. Ma un altro Amore, quello con la a maiuscola. La Roma non può essere paragonata a Gaia, come per nessun padre del mondo. La Roma è un’altra cosa, ma è la cosa più importante all’infuori della famiglia. Lo è ogni romanista, lo è quindi per Daniele. È questo l’errore in cui si cade spesso, quando si parla del rinnovo di De Rossi. “Non firma, non è della Roma”. Ma che cazzata. Non firma (non ancora), perché è una trattativa complicata, come la definisce qualche fonte bene informata, che porterebbe (o porterà) Daniele a legarsi con la Roma per altri quattro o cinque anni. Ma a che cifre? È con quale eventuale clausola rescissoria? Di questo si discute, di questo si sta trattando. De Rossi è il massimo che c’è, è pure più forte di Xavi (tanto per citare il modello barcellonista che fa così tendenza), tra due settimane sarebbe libero di firmare altrove. Se ha aspettato fino a questo punto, è perché alla Roma ha concesso l’ultima parola. Poteva decidere di andare altrove già molto tempo fa. Senza indugiare. Al Real avrebbe vinto di più, o comunque prima. Non è successo, non ancora, perché il rimpianto è sempre quello. «Quello di poter donare una sola carriera alla Roma». È lo stesso rimpianto che aveva anche il 24 luglio dell’83. Quando le maglie andavano dall’1 all’11. E Falcao era già Re. Quel giorno, nacque l’erede.

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