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GAZZETTA DELLO SPORT. Ecco Osvaldo «Roma, non mi pongo limiti»

Osvaldo

(Gazzetta dello Sport – M.Cecchini) – Occhi chiari, giacca trendy che fatica a coprire la foto di Steve McQueen sulla maglia, i capelli lasciati finalmente liberi («Mi chiamano er cipolla? Tanto ora lo chignon non lo faccio più»).

Ammettiamolo, l’attaccante della Roma appare come il prototipo per i desideri del calciatore del Terzo Millennio: bello, bravo e ricco. Tutto qui? Non proprio. A volte l’apparenza inganna. Osvaldo,è vero che le dà fastidio essere definito uno con l’aspetto da tronista? «Certo! Ho visto quella trasmissione («Uomini e donne», ndr). Io non ci andrei mai. Mica sono un metrosexual (maschio etero che ha cura ossessiva del proprio aspetto, ndr). Guardi, ho peli dappertutto e non ci penso proprio a togliermeli. Sto attento al vestire perché sono un uomo pubblico, ma se fosse per me andrei in giro conciato molto peggio, anche se poi mi dicono che assomiglio a Johnny Depp. Magari…».

Le dà più fastidio quando le ricordano di essere l’acquisto più caro del mercato estivo? «No, mi ha fatto piacere perché significa che sono forte».

È forte anche Di Natale che ora deve affrontare: può rubarle il posto in Nazionale? «È un grande. Anche in Spagna è conosciuto. È diventato un grande finalizzatore, ma il posto non è mio: in Nazionale ci va chi sta meglio, anche perché all’Europeo andiamo per vincere. Certo, quando sono arrivato in azzurro sono rimasto un po’ sorpreso, in quel momento non me l’aspettavo. Con Prandelli però ho sempre avuto un buon rapporto. A Firenze lui voleva tenermi».

Lei canta pure l’inno: sorpreso dalle polemiche leghiste sul suo arrivo in Nazionale? «Guardi che conosco anche l’inno argentino… Meglio non dare importanza a gente che non lo merita. Certe polemiche sono fatte solo per prendere voti». Vero che ci sono Higuain, Milito, Tevez, Aguero, ma magari un giorno un c.t. argentino penserà: «Avrei voluto Osvaldo». «Io spero che se ne pentano: escludendo Messi, dentro il campo me la batto con tutti». A Roma è l’erede di Batistuta. «Siamo diversi. Lui ogni palla che toccava faceva gol. Era più potente, più concreto, forse io sono più tecnico».

In effetti le rovesciate, da Firenze a Roma, le vengono bene. Ma quando rivedrà il guardalinee Carrer che gli dirà? «Un errore ci può stare, ma mi dispiacerebbe se fosse stata mancanza di concentrazione. Io avevo capito subito che il gol era valido. È stata una emozione “tagliata”».

Cosa manca alla Roma per essere vincente? «Siamo una squadra con tanti nuovi, ma a 5 punti dal primo posto può succedere di tutto, non mi pongo limiti. Io gioco per vincere, però so che saremmo soddisfatti anche di tornare in una coppa europea».

Dicono che la sua maglia («Vi ho purgato anche io», ndr) al derby abbia portato sfortuna. Che fa, ci riprova? «La scaramanzia è roba da deboli e al prossimo derby non ci penso. Non sono un tifoso della Roma e perciò non ho nulla contro la Lazio. È solo una cosa fatta in onore di Totti che non poteva giocare».

Vi piace la scelta di Luis Enrique di dirvi la formazione solo all’ultimo momento? «Dipende dai caratteri: a me va bene, ad altri magari no».

Che le ha dato la Spagna? «Fiducia. Mi ha fatto capire che ero forte».

Doping: l’ex tennista Noah ha detto che in Spagna hanno «la pozione magica». Che cosa ne pensa alla luce dei controlli? «Stronzate. Lì sono forti perché giocano bene. Meglio i loro controlli: ne fanno meno però a sorpresa, non come qui che lo sappiamo prima».

A quale tecnico deve di più? «Gliene dico due: Pochettino (all’Espanyol) per la fiducia, e Zeman (al Lecce) per i movimenti offensivi. Lui e Luis Enrique si somigliano: cercano sempre il gol»

Qual è stata la partita che più l’ha emozionata giocare? «Un Espanyol-Barcellona. A pochi minuti dall’inizio ci fecero vedere un video con interviste dei blaugrana su di noi. Entrai in campo che avrei ammazzato tutti. Finì 0-0, cioè bene».

Roma a parte, la sua Italia: Bergamo, Lecce, Bologna e Firenze. «A Bergamo sono stato poco; Lecce è una città bellissima, che mi ha dato tanto. Firenze è spettacolare, unica. Mi dispiace di avere sbagliato atteggiamento quando sono andato via. A Bologna non mi sono trovato bene, ma è perché in campo stavo male. Anzi, con Mihajlovic mi trovavo, poi con Colomba non c’era feeling».

Se non avesse fatto il calciatore, cosa sarebbe diventato? «Ciò che vorrei fare dopo: il musicista. Studio chitarra e pianoforte, mi piacciono Pink Floyd e Rolling Stones. Non sono un amante del calcio, lo gioco e basta. Poi stacco la spina».

Se vi dicono che guadagnate troppo lei che risponde? «Che hanno ragione, ma non è colpa mia. Certo, se penso che un medico guadagna di meno penso che sia uno strano mondo, ma il calcio dà lavoro a tanti, anche se certe cifre sono esagerate».

Si dice che l’Italia rischia una crisi economica in stile Argentina fine anni ’90. Analogie? «Direi di no. Per carità, qui ci sono difficoltà, ma lì è stata veramente dura. C’era gente che assaltava i supermercati perché non aveva da mangiare. Ricordo che mio padre lavorava in fabbrica dieci ore e poi non toccava cibo per lasciarlo a noi. Altre storie».

Gardel, Borges, Peron e Maradona: corrispondenti italiani? «Per Gardel, direi Vasco Rossi. Per Peron e Maradona nessuno, sono unici, mentre sui libri non ne so molto. A me piace un francese, Frederic Beigbeder (considerato uno scrittore nichilista, ndr)».

Mai pentito di essere venuto in Italia? «No, ma certo che appena arrivato a Bergamo, il 12 gennaio, a ritrovarmi solo e sotto la neve nel giorno del mio 20° compleanno mi veniva da piangere. Mi sarei ammazzato…».

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