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IL MESSAGGERO. “Scudetto? Ancora no”

Luis Enrique

(U.Trani) «Adesso noi non siamo da scudetto, ancora no». L’equilibrio nei fatti e anche nelle parole. Luis Enrique, prima della sfida di Marassi, evita che i tre successi della Roma negli ultimi quattro incontri di campionato possano illudere la piazza e per primo il suo gruppo. Al quale chiede appunto di essere squadra, compatta e bilanciata in campo, e di non sentirsi già perfetta tatticamente e competitiva come altre pretendenti al titolo. «Per ora siamo in costruzione e non molto forti. Non abbiamo i numeri dell’Udinese che, dieci gol fatti e uno subito, può aggiudicarsi il torneo. Poi tra tre-quattro mesi si vedrà. Io penso solo al Genoa, non guardo la classifica». Che è migliore dopo il successo di domenica contro il Palermo, primo impegno di tre da giocare in soli sei giorni.

L’asturiano, però, si sofferma poco sui punti fatti e su quelli che comunque si augura di prendere oggi e sabato con il Milan. Perché proprio la prova all’Olimpico contro la formazione di Mangia non lo ha affatto convinto: «Dipende da queste due partite, se saranno sofferte come l’ultima non potremmo trarre conclusioni positive. È importante fare risultato, ma a me interessa di più come ci arriviamo. Ci sono ancora tante cose che non mi piacciono». Una più delle altre: «Ogni volta che andiamo in vantaggio, smettiamo di fare quanto fatto per riuscire a segnare. Dobbiamo, invece, continuare. L’avversario deve cambiare e non noi. Stiamo cercando di rimediare a questo difetto che è nella testa. Preferirei vincere tutte e due le prossime partite. Ma se non lo facciamo come vogliamo non succederà niente. Dopo il Palermo abbiamo più fiducia e, onestamente, ho preso atto della crescita, grandissima, dal primo giorno che sono qui, anche se non so se sarà sufficiente per ottenere qualcosa».

Luis Enrique, insomma, pretende altro dalla sua Roma. Nello specifico anche da Lamela, debuttante a segno contro il Palermo. È protettivo con l’argentino, per non caricarlo di eccessive responsabilità. Non sarebbe strano vederlo partire dalla panchina, anche se senza Pjanic e Totti ha comunque molte chance di essere confermato: «Se è in lista è perché può giocare due gare di seguito e vicine. Il suo rendimento è stato buonissismo, non solo per il gol, molto difficile, ma anche per il suo comportamento. Ma non è esploso, lo sarà quando avrà fatto dieci-quindici gol. Penso che sia utile per squadra. Deve, però, lavorare tanto con umiltà e tranquillità. È solo all’inizio».

A Genova è probabile vedere la decima formazione diversa in dieci gare ufficiali. Lucho è per la rotazione: «Ci sono rischi quando puoi contare solo su undici, tredici, quattordici calciatori. Non esiste una regola, ma io penso sempre al bene di questa squadra. Sono fortunato ad avere una rosa ampia con diciannove-venti giocatori. Ho perso prima Stekelenburg, ora Totti e Pjanic. Senza ricambi avrei avuto problemi. A lungo termine, insomma, cambiare è vantaggioso, a breve no. Io la penso così. Alla fine dipende tutto dai risultati: se sono positivi, la gestione è eccellente. Se sono negativi, un disastro. Tra l’altro abbiamo un giorno in meno rispetto agli avversari. So già quello che farò ma non lo dirò. Il Genoa corre e sa fare il contropiede. Noi, però, faremo la nostra partita. Senza pensare a quanto accadde nel torno scorso. È accaduto al Lecce domenica, non succede spesso». Dal 3 a 0 al 3 a 4: il 20 febbraio, nella pancia di Marassi, Claudio Ranieri rassegnò le dimissioni. Intanto la Fifa vuole vietare l’iPad in panchina. «E io lo userò solo a Trigoria», avverte Lucho.

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