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La Repubblica – Il digiuno: da Spalletti a Spalletti, i nove anni della Roma senza vincere niente

(M. Pinci) – Il 24 maggio del 2008 Barack Obama aspettava ancora di essere eletto presidente degli Stati Uniti, Roma stava per eleggere Alemanno sindaco e un mese dopo la Spagna avrebbe vinto il suo secondo Europeo. Sono passati 3275 giorni, Obama fa il turista a Milano, Alemanno è all’opposizione e la Spagna s’è presa tutto: mentre la coppa Italia vinta quel giorno di 9 anni fa battendo 2-1 l’Inter all’Olimpico resta l’ultimo trofeo festeggiato dalla Roma. Da Spalletti a Spalletti- bis, il mondo è cambiato radicalmente mentre la squadra che porta il nome della capitale sembra paralizzata. Il tecnico – ma dopo “esilio” vincente in Russia – De Rossi e Totti sono gli unici superstiti, finiti però in un buco nero in cui ai proclami e agli investimenti di due proprietà non sono seguiti risultati, se non una fila incredibile di piazzamenti: se chiudesse davanti al Napoli, sarebbe seconda per la quarta volta in 9 stagioni, praticamente una ogni due. Senza però nemmeno una coppetta da coccolare.

L’ATTESA PIU’ LUNGA – Non c’è nessuna delle big che aspetti di prendersi un titolo da così tanto: i rivali della Lazio hanno alzato la stessa coppa 4 anni fa e sperano nel bis mercoledì, l’Inter è ferma al 2011, il Napoli ha gioito 2 volte nel 2014, il Milan addirittura lo scorso dicembre con la Supercoppa. E la Juventus onnivora adesso può infilare il sesto scudetto consecutivo nella tana di Totti e Spalletti. Riuscisse nel bis scudetto domenica e Coppa Italia mercoledì – raggiungerebbe la Roma per trofei vinti dentro l’Olimpico. Curioso, per una squadra nata a 520 chilometri dalla capitale.

500 MILIONI SUL MERCATO – Ai giallorossi non sono bastati nemmeno i 514 milioni spesi in questi anni sul mercato: 46 dalla gestione Sensi e Unicredit, tutti gli altri da Pallotta&friends. Un’enormità a cui non ha fatto seguito una sola conquista. A Trigoria hanno in compenso montato cancelli girevoli: 262 calciatori alternati solo tra quelli che hanno indossato la maglia della prima squadra, 102 in entrata e 160 in uscita. In media quasi 30 all’anno, come se tutte le volte servisse demolire per ricostruire. Il colpo più caro, Iturbe (22,5 milioni), è stato un flop. Ma il gioco ha funzionato, altrimenti i conti della Roma non racconterebbero della seconda realtà in Italia per ricavi, con 219 milioni nella stagione scorsa. Il valore dell’organico grazie al “player trading”, ossia la compravendita di calciatori tanto cara a Mr Pallotta, si è impennato e l’ingaggio dello specialista Monchi dal Siviglia tradisce l’intento dichiarato di continuare sulla stessa strada.

SENZA SPONSOR DA 1400 GIORNI – Manca tanto però prima di arrivare a dama. In 9 anni l’indebitamento del club è passato dai 20 milioni del 2009 ai 170 odierni (non tutti maturati dalla gestione statunitense) e i ricavi commerciali stentano a decollare. La maglia non ha uno sponsor da 1412 giorni, eccezion fatta per i marchi occasionali, tra i quali la contestatissima divisa dell’ultimo derby, con il logo SPQR stampato sul petto, venduta pure con un sovrapprezzo di 5 euro nei RomaStore prima che andasse esaurita: peraltro il Comune, secondo il legale Massimo Rossetti di Federsupporter, potrebbe teoricamente agire contro chiunque ne faccia un uso non autorizzato e non consentito come previsto dal Decreto Legislativo 18 agosto 2000, n. 267. Eppure sono cambiati tre direttori commerciali da quando gli americani hanno rilevato il club, più almeno altri due “ombra” e da qualche mese l’intera gestione marketing è affidata al centro direzionale di Mayfair, a Londra.

UNA FESTA PER TOTTI – Eppure, in questo maggio senza sussulti, qualcosa si prepara a celebrarla anche Trigoria: l’addio al calcio del suo capitano. In poche ore ieri sono stati venduti tutti i biglietti per Roma-Genoa del 28 maggio: ci saranno 60mila persone all’Olimpico per l’ultimo saluto al Totti calciatore, un riscontro di pubblico che mancava dal 21 ottobre 2014 per la gara col Bayern. Il segno della passione della città per il suo idolo, certo. Ma anche della voglia insoddisfatta di avere almeno un giorno da ricordare.

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