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GAZZETTA DELLO SPORT Nainggolan: «Dovevo essere all’aeroporto. Temevo bombe ad Anversa»

Nainggolan
Nainggolan

(D. Stoppini) – Il telefono è muto, non regala certezze per tutta la mattina e le prime ore del pomeriggio. Solo whatsapp, l’unica via che consenta a Radja Nainggolan di rassicurare i dirigenti di Trigoria, qualche compagno di squadra e soprattutto la moglie Claudia, rimasta a Roma. «E pensare che nel week end avrei dovuto raggiungerlo», racconta lei. Radja l’ultima volta l’aveva presa con il sorriso: dopo gli attacchi di Parigi, nel ritiro della nazionale ad Anversa l’avevano fermato scambiandolo per un potenziale terrorista, chiedendogli i documenti. Era finita a selfie e risate. Stavolta no: è tutto un lì potevo esserci io, chissà come stanno i miei amici. La testa è pesante. Ma la voce è ferma, quando finalmente risponde: «Sto bene, per fortuna sono ad Anversa, a Bruxelles non sono mai arrivato. Dovevo andarci stamattina (ieri, ndr), poi è scoppiato il caos. Si respira paura pure qui, i telefoni sono fuori causa, gli spostamenti sono impossibili (in giornata è stata pure evacuata la stazione centrale, ndr), i bambini vengono fatti rimanere nelle scuole fino a nuovi annunci. E chiunque giri in strada con una borsa o uno zaino qualsiasi viene perquisito». La linea va e viene. Radja viene spesso sovrastato da altre voci, le interferenze sono continue.

Che cosa le passa per la testa?
«Che se non avessi avuto un impegno con il mio sponsor, avrei potuto trovarmi all’aeroporto di Zaventem anch’io, stamattina. Sì, perché proprio a causa dell’evento a cui dovevo partecipare sono arrivato un giorno prima in Belgio, ma ad Anversa. Altrimenti, avrei preso un volo di mattina da Roma e sarei atterrato direttamente a Bruxelles. Il ritiro era fissato alle 12, proprio nell’albergo di fronte all’aeroporto. Invece è cambiato tutto, ci è stato comunicato che l’allenamento del pomeriggio sarebbe saltato, che il ritiro era sospeso fino a nuove ordine. E ora non sappiamo cosa dobbiamo fare. Andare a Bruxelles lo stesso? La partita con il Portogallo (di martedì 29, ndr) sarà annullata? Qui gli spostamenti sono difficili, è tutto blindato».

Ha sentito i suoi amici?
«Ne ho tanti che lavorano all’aeroporto, conosco un sacco di persone. E spero stiano tutti bene, perché qui non si riesce a parlare con nessuno. Non si conoscono neppure i nomi delle vittime, mi auguro sia tutto ok».

Qual è stato il primo pensiero appena saputo dell’attacco terroristico?
«Dopo le esplosioni di Zaventem mi sono detto “qui ora arriva pure la seconda e la terza”. Non mi sbagliavo. Il mio timore era che potessero colpire Anversa (dove è cresciuto, ndr): la città è grande, la più importante del Belgio insieme a Bruxelles, avevo paura che potesse esser presa di mira dai terroristi».

Che cosa può fare il calcio? Che cosa deve fare Nainggolan?
«Difficile rispondere, perché sono combattuto tra l’amore per il calcio e la sicurezza della gente. Mi piace giocare, non so stare senza. Ma vorrei non ci fossero rischi».

L’Europeo a porte chiuse è una soluzione?
«Sarebbe triste. Quello dev’essere un evento globale, visto e seguito da tutti. Con gli stadi vuoti non sarebbe la stessa cosa, non sarebbe un messaggio di pace».

Quella pace che è stata scippata alle vittime una mattina di inizio primavera. E a loro Nainggolan ha voluto dedicare un pensiero attraverso Instagram: «Tutti i miei pensieri vanno alle famiglie e agli amici delle vittime». In alto una bandiera del Belgio. E quei colori che una volta Radja sfoggiò orgoglioso pure sulla sua cresta.

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