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CORRIERE DELLA SERA Se il calcio non trova l’accordo arriva il commissario

Giovanni Malagò
Giovanni Malagò

(A. Arzilli) Sul presupposto sono tutti d’accordo, il sistema calcio non è più in grado di reggere 102 club professionistici e i recenti scandali vanno tristemente a ribadirlo: pochi soldi, difficoltà organizzative e cono d’ombra mediatico sono l’humus ideale perché attecchisca il malaffare intercettato da tante Procure, da Cremona a Napoli fino alle ultime attivate, Catanzaro e Catania. Lo scontro è sulle soluzioni: da una parte c’è un comparto sindacale (Aic e Aiac) che, legittimamente, si preoccupa dei risvolti occupazionali collegati a una sforbiciata delle squadre pro, dai 102 club ai 72 sopportabili dal sistema secondo la Figc (18 anziché 20 in A, 18 invece di 22 in B e 36 al posto delle attuali 60 in LegaPro); dall’altra c’è una struttura federale che ha un’idea precisa e già varata nella pratica, una selezione darwiniana innescata dal blocco dei ripescaggi a partire dalla prossima stagione allegato alla tassa (piuttosto salata: 500 mila euro) per un’eventuale fruizione dell’istituto.
Nel mezzo è terra di politica, si tratta e si continuerà a farlo fino al 14 agosto, termine traslato dal 30 giugno secondo proroga chiesta e ottenuta da Tavecchio. È Ferragosto l’ultima frontiera per raggiungere un’intesa su quella che viene definita la «madre di tutte battaglie», ovvero la riforma dei campionati. Già dalla prossima settimana, una volta affrontato e tamponato il terremoto in LegaPro e passato il delicato check-point delle iscrizioni (ci sono una quindicina di club iscritti senza la fidejussione da 600 mila richiesta), il presidente federale Carlo Tavecchio si metterà a lavorare per far saltare fuori un compromesso che impedisca alla riforma di sprofondare in Consiglio federale sotto il tiro dei veti incrociati (c’è, sì, il diritto di veto e ci vuole pure il 75% dei sì per farla passare).

È che siamo al punto di non ritorno: o la politica converge oppure si va dritti da Malagò perché sia il Coni a mettere mano alla riforma. Se cercando, dall’alto, una via di mezzo che possa star bene a tutti o nominando un commissario ad acta, lo vedremo. Ma è ovvio che al calcio non convenga che qualcuno decida al posto suo, questo lo sanno bene tutti quelli che stanno in consiglio: le 4 Leghe, che non sono certamente in sintonia sull’uso delle forbici, la Federazione, le componenti tecniche e gli arbitri.

Per questo dalla prossima settimana si va al nocciolo della questione. E presumibilmente il confronto tra blocchi, Tavecchio e Assocalciatori, verterà sui compensativi pratici per i tanti lavoratori del pallone che potrebbero ritrovarsi a spasso: fondo di garanzia in serie A, un ammortizzatore da attivare in caso di controversie o di insolvenze dei club; l’approfondimento sulla questione del vincolo sportivo che i calciatori chiedono (da tempo) più flessibile. In più c’è una «vexata quaestio» che presenta risvolti potenzialmente molto impopolari: le indennità ai nazionali. Che Tavecchio, al suo ingresso, ha tagliato del 50% (da 4 a 2 milioni: a ogni giocatore spetta una somma proporzionale alle convocazioni) e che l’Aic vorrebbe ripristinare sui parametri precedenti. Ma se, ad esempio, De Rossi prende già oltre 6 milioni dalla Roma e, parte di essi, dovuti al fatto che veste pure l’azzurro, perché dargli ancora più soldi?

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