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LA REPUBBLICA Bentornato veleno. La coda di Garcia su Juventus-Roma: “Stadio da vergogna”

Juventus-Roma Esultanza
Juventus-Roma Esultanza

(E. Sisti) – Per banali motivi di capienza, due settimane in cui praticamente non s’è parlato altro che di “quella cosa lì”, dentro e fuori dai bar, in Nazionale, sui giornali, per strada, nelle radio, sui social, forse su Marte, con infinite variazioni di tono sullo spartito, non potevano contenere anche la risoluzione del problema e un tentativo di composizione dei dissidi (solo Pallotta ci ha provato). Su Juve-Roma s’è espresso chiunque. Opinioni, sparate, esternazioni, dal tweet di Bonucci, a Platini, da Capello a De Sanctis, Nicchi e ad almeno altri trenta. Pareri che si sono allungati, scolorendosi oppure colorandosi di ridicolo, fino a ieri, fino alla ripresa del campionato.

Ieri un Garcia mai visto, con un’ombra di barba che lo restituiva all’immaginario del cinema francese d’autore (con quella faccia sarebbe potuto essere Jules o Jim), ma soprattutto un Garcia mai sentito, protetto da una carica di convinzioni etiche, tecniche, da dosi abbondanti e finora mai utilizzate di coraggio e di sfrontatezza verbale, ha chiuso il capitolo con una precisazione terminale: «Dico soltanto un’ultima cosa e poi non profferirò più parola riguardo al match tanto discusso: è stata vergognosa l’accoglienza riservata dalla tribuna dello Juventus Stadium alla nostra panchina». Sempre con barba e spirito combattivo ha aggiunto, tornando al calcio: «Ora ne sono sicuro, vinceremo lo scudetto».

Parole dirette, pronunciate come se il tecnico giallorosso avesse avuto una soffiata dall’aldilà, immune alla scaramanzia: «Siamo più forti della Juventus e la partita di Torino me lo ha confermato. Non è stata una sconfitta. Al contrario: è stata una dimostrazione di forza e di personalità. Forse non le vinceremo tutte di qui a maggio, ma siamo pronti a farlo e soprattutto sono certo che la mia squadra è in grado di farlo». I due aspetti complementari del percorso agonistico: la consapevolezza dei propri mezzi e le qualità per esprimersi, due momenti che legano spogliatoio e campo. Difende tutti i suoi “lupi”, il capobranco, come lui si definisce, De Sanctis, Maicon, attenua le preoccupazioni per i tanti infortunati («sarei allarmato se i guai capitassero a un solo muscolo per tutti»), e poi ovviamente si scioglie per Totti: «Quando parla il nostro capitano meriterebbe più rispetto». Francesco aveva confermato e smorzato: «Le polemiche non devono distrarci dal campo. Ma ciò non vuol dire che non sia stato giusto reagire in maniera forte ». Adesso però quella contro il Chievo è la partita più importante che c’è perché è la prossima, perché è «l’unica».

Concentrazione e decontrazione: così si torna a vincere. E non c’è alcun bisogno di restare lì imbambolati a pensare a Robben. La rosa dei disponibili è un bel fiore dai pochi petali, un album svuotato perché dietro le figurine la coccoina non ha retto: ce l’ho, mi manca, mi manca, mi manca. Senza Keita, Iturbe e Manolas squalificato, con De Rossi, Totti, e probabilmente Gervinho (tornato dopo la sconfitta inattesa della sua Costa d’Avorio) in panchina, si proseguirà col ritorno di Astori, con Ljaijc, Destro e col probabile debutto dal primo minuto di Paredes. Per i tre punti, per il futuro e a questo punto per lo scudetto. Che secondo Garcia è dunque quasi una certezza, «ma che si vince un pezzettino alla volta». Tanti fili pendenti da riannodare, cucire, lentamente, senza pietà, con umile e feroce determinazione. «Cominciamo subito, va’…».

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