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GAZZETTA DELLO SPORT La discriminazione territoriale e il calcio burlone

La Curva Sud vuota

(R. Palombo) – E’ un calcio burlone. Dal ministro dello Sport Graziano Delrioall’ultimo degli ultrà, passando per tutti i notabili dentro e fuori le mura del Belpaese. «Problema limitato a poche centinaia di persone. Pugno duro verso quanti vanno allo stadio pensando di essere in una zona franca. Contestualmente non bisogna criminalizzare qualche coro ironico o di sbeffeggiamento, le due cose sono molto differenti» dice Delrio e lo fa alla Camera, al Senato, a Sky, insomma ovunque. Prendendo una cantonata sulle «poche centinaia» e guardandosi bene dal definire i confini del «coro ironico o di sbeffeggiamento ». Al calcio burlone, d’altra parte, sono molto affezionati quei goliardi degli ultrà secondo i quali tutti i cori esclusi quelli razzisti (ma siete proprio sicuri? e i «buuu» e le banane dove le mettiamo?) hanno diritto di cittadinanza negli stadi. No«all’impossibilità di essere goliardici, acidi e perfino maleducati », dicono nei loro comunicati e mai, anche qui, che ci sia qualcuno capace di mettere una cornice a questa maleducazione. Per cui tra sfottò e cori estremi, da vergognarsi solo a pensarli, non esiste confine.

E’ un burlone Michel Platini, cui va comunque dato atto di un’azione risoluta contro un fenomeno che sta appestando tutta l’Europa. Va a Cuccaro e nel ricordo di Liedholm, maestro di paradossi, racconta di non sapere cos’è la discriminazione territoriale. Dimenticando che appena una settimana prima proprio la sua Uefa, i cui paletti sono rigidissimi e includono pure le sconfitte a tavolino e le penalizzazioni, ha chiuso lo stadio della recidiva Lazio in Europa League causa due striscioni contro l’Uefa e uno («slavo puzzi di m…») dedicato a quelli del Legia Varsavia. Striscione che, se la lingua italiana non è un’opinione, rientra perfettamente nella casistica della discriminazione territoriale, costola di quella etnica.

Sono burloni quelli della Federazione, nessuno escluso, e dunque inclusi i consiglieri federali della Serie A che oggi strepitano o, è il caso di Lotito, fanno invasione di campo presso la Corte di Giustizia federale che ospita il ricorso del Milan: ad agosto, primi in Europa, il nuovo dettato Uefa lo hanno sottoscritto per intero ma senza porsi uno straccio di riflessione su come funzionano le cose in Italia e sui rischi che si corrono ad essere tanto rigidi. E infatti due mesi dopo, mercoledì o giovedì prossimo, dovranno correggere il tiro. E’ un burlone Beretta, che invia alla Federcalcio una lettera di ineccepibili rilievi, fin quando non arriva a suggerire la taumaturgica soluzione fatta di una «adesione dei club a specifici programmi di formazione e sensibilizzazione anti razzismo», quasi che fin qui anziché a via Rosellini la sede della Lega non sia stata su Marte.

E lo è infine pure Malagò, che parte duro e puro e arriva invocando il buonsenso e la mediazione perché le norme sono troppo rigide. A questo punto, ci piacerebbe che: 1. Qualcuno spiegasse a noi e agli ultrà dove finiscono gli sfottò e dove comincia la discriminazione territoriale. 2. Ci fosse certezza di uniformità di udito da parte dei collaboratori della Procura federale inviati sui campi, lasciando perdere gli arbitri che microfonati come sono hanno altro a cui pensare (e vedere). 3. Le norme sanzionatorie vengano stavolta ripensate cum grano salis. Sempre aspettando fiduciosi la riscrittura dei nuovi codici di giustizia sportiva. 4. Che la sospensiva della Corte di Giustizia federale che ha riaperto le porte di Milan Udinese non sia raccontata come la vittoria delle curve. 5. Che gli ultrà, anziché ritenere gli stadi roba loro, accettassero il principio che dopotutto sono anche roba nostra.

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