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DOPO PARTITA La lettura dell’incontro di Paolo Marcacci

Benatia

Il primo sussulto è digitale, se così si può dire, perché arriva  assieme alla schermata delle formazioni ufficiali: Garcia, quello dell’appetito che viene mangiando – o Mangiante, secondo pronuncia sintonizzata su Sky? – gioca con le figurine dell’attacco in maniera  massiccia e disorientante, perlomeno in partenza, tanto per i romanisti che per gli avversari: Borriello tra Gervinho e Marquinho, che sin dall’inizio fanno rima nel non beneficiare degli spazi che il numero ottantotto giallorosso apre a sportellate, più brillante e rapido  rispetto alle uscite precedenti ma anche piuttosto disorientato nel tentare di recepire i dettami della panchina. Un esercito di opinionisti e seconde voci lamenta come Borriello non faccia il lavoro di Totti; forse soprattutto perché non è Totti, come sapeva già all’epoca Monsieur De Lapalisse.
La Sampdoria di Delio Rossi, che a proposito di figurine sorprende per una mediocritas tutt’altro che aurea, è tutta nelle unghie e nei denti dell’atteggiamento dettato dal tecnico, con Palombo in panca e col solo Gabbiadini in avanti ad alzare l’asticella della qualità.
Assieme al primo tempo vanno in archivio un retropassaggio dissennato di Borriello  che chiama De Sanctis al primo miracolo stagionale e purtroppo un muscolo traditore di Maicon: Sua Maestà Balzaretti a destra e spazio per Dodò a  sinistra, mentre l ì davanti  Gervinho combina qualcosa in più rispetto a Marquinho, che subito dopo il sessantesimo si siede col broncio per fare spazio a Totti. Nel frattempo, Garcia espulso ha lasciato la panca, sotto o sopra la quale continua a cantare la capra dei suoi consigli, faticosamente soffiati tra i cancelli scorbutici di Marassi. Piacerebbe al mister questa similitudine? Non abbiamo tempo di rifletterci perché al minuto sessantacinque giochiamo tutti a flipper con gli occhi stropicciati per l’ostinazione di Benatia che recita in dribbling versetti del Corano per poi sforbiciare da terra l’ostinazione di chi resiste: l’angolino basso alla destra di Da Costa è una Mecca da tre punti.
Delio, che t’inventi?
Un Pozzi di disperazione e un modulo più agile davanti: sterile come l’insistenza di chi comincia a disperare, la Samp è più filistei allo sbando che iniziative di Sansone – tutta una protesta dall’inizio alla fine – e un masticare sempre più amaro di Rossi in una panchina da sunset boulevard.
Passano minuti di buona volontà blucerchiata e controllo romanista, che culmina in una ripartenza da manuale: petali di rose da Totti a Gervinho, treccine di felicità lungol’out sinistro. Zero a due, con Barillà espulso e una classifica senza vertigini: solo tanta roba, come la forza lucida di Strootman, come il tempismo di De Rossi in tackle, come il poco o nulla concesso a chi ci sta di fronte.

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