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LA REPUBBLICA Totti, 36 anni da trascinatore: Roma sempre più sulle sue spalle

Pjanic e Totti

(E. Sisti) – Ci sono bandiere cui ci si aggrappa nel momento della disperazione e non tengono. Altre appaiono e scompaiono, illudendo. Altre ci sono sempre, malgrado gli infortuni e gli incidenti di percorso, e sopportano pesi inimmaginabili rimanendo semplici calciatori, refrattari a travestirsi da simboli epocali o leader spirituali, disponibili all’autocritica, umanamente ineccepibili. Deve essere stato tremendo per Francesco Totti, la settimana scorsa, dover smentire la società Roma con un comunicato: «Non ho mai parlato con l’allenatore del rigore non calciato da me (e calciato malissimo da Osvaldo, ndr) a Genova».Tremendo perché era come dire: ma per chi sto giocando e perché mi mettono in mezzo? Volevano accusarlo di non essersi imposto sul compagno.

Con quelle due righe, mettendo in discussione le scelte di una dirigenza che ha più volte ricordato un boma sbatacchiato dal vento, Totti ha dimostrato che quando c’è da prendere posizione, costi quel che costi, lui c’è. Totti c’è sempre per la Roma, la Roma intesa come ente emotivo, squadra e tifosi. Lui è una bandiera resistente come il telo dei pompieri sotto un edificio in fiamme. Difficile delineare un dopo senza di lui, che pure arriverà e saranno coltellate al cuore. Approfittando di qualità sconosciute ad altri, anche fisiche, sabato ha saputo caricarsi la squadra sulle spalle correndo per cinque e deliziando. Era una partita in cui teoricamente la Juventus si sarebbe potuta divertire camminando sui resti dei reduci dalla figuraccia di Genova, sullo Zeman usato e scaricato, sulle fragilità e sulle gaffe verbali di Andreazzoli.

Ma non avevano calcolato Totti. Ha giocato da padrone di casa e da campione, ha segnato il suo 10° gol a Buffon, decisivo, il suo 224° in serie A, il suo 279° ufficiale in carriera. Sabato Totti c’era. Ma c’era anche prima, quando era pronto a sacrificarsi per gli ideali del boemo finiti nel cassonetto di Trigoria. Più vicino ai 40 che ai 30, deve ancora sentirsi chiamare Pupone e se ne frega, scherza con se stesso, fa mari di beneficenza, è maniacalmente onesto («mi dispiace per il brutto fallo su Pirlo, ero felice che non si fosse fatto male»), non nasconde le sue colpe, lotta con i suoi cronici malanni, la schiena, le ginocchia, le caviglie martoriate e cerca continuamente di migliorarsi. Chi può dire altrettanto in questo calcio devastato da ipocriti e simulatori? In fondo ha segnato solo 21 gol in meno di Messi. Non ha mai preteso Palloni d’Oro. Eppure solo qualcuno in attività somiglia ai grandi come lui, perché lui è un grande calciatore. Vede la porta come un attaccante, fa assist come un n.10, parla poco. Totti, semplicemente Totti.

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