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AS ROMA Roma difenditi

Dirigenti As Roma

Una società che si dichiara innovativa ha il dovere di ottenere risultati. Se ne è accorto con grande onestà intellettuale Franco Baldini, ieri avvistato a Napoli (tam tam immediato, è andato a vendere Pjanic: falso, era lì per la vicenda Moggi). Subito dopo il terzo derby perso della sua gestione, Baldini ha ammesso: «Senza risultati è difficile trasmettere il nostro messaggio». Che è quello di uno sviluppo graduale, attraverso la crescita di un gruppo di giovani campioni, che possano portare la Roma ad essere competitiva in pianta stabile.

L’espressione «rivoluzione culturale», accompagnata dalle citazioni letterarie e filosofiche, ha probabilmente creato un alibi alla squadra. Che nel primo anno, dopo le prime sconfitte, ha visto persino comparire in Curva Sud un enorme striscione anonimo («Mai schiavi del risultato»). I dirigenti, nel frattempo, parlavano di una stagione di prova, di una società al numero zero, come se il campionato di serie A fosse uno stage formativo. E così la Roma è uscita per due anni di fila dall’Europa e ha visto uscire di scena l’allenatore su cui assicurava di pianificare il futuro.

Da questo equivoco, cultura versus natura, la nuova Roma non si è più saputa liberare. E le recenti parole di James Pallotta, un manager che conosce bene la logica degli sport americani ma è un po’ meno esperto di calcio italiano, non hanno aiutato Zeman e i giocatori. Se si fissa la vittoria«in cinque anni», si chiede troppo alla pazienza dei tifosi. Che infatti si sono lamentati a reti unificate il 25 aprile, dopo la sconfitta all’Olimpico contro la Fiorentina che ha segnato il destino di Luis Enrique. (…) Quel piazzamento vale la Champions League e a inizio stagione era stato ufficialmente dichiarato come traguardo da Paolo Fiorentino(…)

(…) E così Baldini, direttore generale con i compiti da presidente, ha avuto campo libero nella selezione degli allenatori. Ma in nessun caso è riuscito ad agganciare la prima scelta. Al primo tentativo ha assorbito i rifiuti di Guardiola e Villas Boas, per poi puntare sul quasi debuttante Luis Enrique proprio su suggerimento di Guardiola (…)

Nel secondo caso ha richiamato Montella, con il quale aveva già programmato le date del ritiro, ma ha rotto con l’interlocutore sui dettagli economici e sulle strategie di mercato. A quel punto, solo a quel punto, Baldini si è rivolto a Zeman (che aveva già annunciato la volontà di rimanere a Pescara), comprendendo che sarebbe stato un nome gradito all’ambiente, che avrebbe potuto rappresentare una scommessa affascinante nella ricerca del «calcio attrattivo» quasi mai visto con Luis Enrique, e che avrebbe rimpinguato le casse della società attraverso gli abbonamenti. Niente di male, chiaro, ma a Zeman un anno prima era stata offerta la gestione del settore giovanile. Se è stato riportato in fretta e furia a Trigoria come allenatore della prima squadra, non è stato solo per il formidabile campionato di serie B che aveva vinto a Pescara. E’ stato anche perché non c’erano (più) alternative proponibili sulla piazza romana.

Venerdì in Italia arriverà Mark Pannes, braccio destro di Pallotta e amministratore delegato pro tempore della Roma. Aspettando che venga scelto il famoso supermanager che da mesi deve prendere il suo posto per garantire una presenza stabile a Trigoria, sarebbe opportuno che Pannes chiarisse i ruoli all’interno della società. Al di là delle deleghe operative, che formalmente distribuiscono i compiti, la Roma ha un doppione di tutto: due proprietari (la cordata americana e la banca Unicredit); due amministratori delegati, che in inglese vengono chiamati Ceo (Pannes e Fenucci); due dirigenti che si spartiscono l’area sportiva (Baldini e Sabatini) trasmettendo un’idea di diarchia, più che di scala gerarchica, variabile a seconda dei giorni e delle specifiche conoscenze; due responsabili della biglietteria; due responsabili della sicurezza. Sono entrati inoltre un direttore commerciale, Christoph Winterling, e un direttore dell’area digitale, Shergul Arshad, figure che prima la Roma non possedeva.

Ventotto giocatori e centodieci milioni investiti, con un saldo negativo nel panorama acquisti-cessioni di oltre sessanta milioni. Non si può dire che i dirigenti, dotati di un budget interessante nonostante un bilancio terribile ereditato dalla precedente gestione, siano rimasti fermi sul mercato. In tre sessioni: estate 2011, inverno 2012, estate 2012. Ma la prima stagione è stata insoddisfacente: a causa della lontananza dall’Europa, i conti sono peggiorati (sfiorando i -60 milioni sul bilancio) e sei giocatori su undici acquistati nella prima finestra di trasferimenti, senza contare l’allenatore con il suo staff infinito, sono stati mandati via.

Quindi qualcosa era stato sbagliato nella creazione della squadra del rinnovamento. Josè Angel, Bojan, Gago, Kjaer, Heinze sono stati bocciati senza appello. Borini invece è stato un affare: pagato 9, è stato venduto a 13,5. In pratica solo Lamela, Pjanic e (con titubanza) Stekelenburg sono stati confermati. C’è anche Osvaldo, naturalmente. Ma il suo caso è particolare: a lungo è stato vicino alla cessione. Se non fosse arrivato Zeman, probabilmente oggi sarebbe altrove.

Su De Rossi è difficile pensare che Zeman abbia sbagliato. Se così fosse, sarebbe curioso: un capitale strategico della società, oltre che una bandiera della Roma, è stato messo in concorrenza con un giovane greco venuto dalla serie B, Tachtsidis, senza che i dirigenti abbiano ritenuto giusto immischiarsi.

Ma prendiamo per buona la libertà di ogni allenatore di far giocare chi ritiene più idoneo alla squadra (con De Rossi in campo, peraltro, la media-punti è stata finora più bassa) e tralasciamo l’aspetto tecnico. Fuori dal campo, i dirigenti hanno utilizzato uno schema comunicativo piuttosto bizzarro. Hanno scelto dichiarazioni forti su una possibile – e lecita – cessione di De Rossi, sia in estate che prima nel derby, salvo poi aggiustare la mira, magari attribuendo alla stampa la colpa di avere interpretato male le parole.

De Rossi ha sbagliato diverse volte, l’ultima prendendo a pugni Mauri, ma almeno è stato schietto, nella conferenza di fine mercato: «Non ho mai chiesto di andare via, ci tengo a dirlo. Quando questo succederà, lo confesserò». Il nodo è proprio questo. Se la Roma e De Rossi si separeranno, ipotesi a questo punto concreta sia per questioni finanziarie che per ragioni tecniche, è stato più De Rossi ad allontanarsi dalla Roma o la Roma ad alimentare un’asta per De Rossi? Se fosse vera la seconda strategia, si capirebbero anche le varie frecciate di Zeman. Ma anche il nervosismo e lo scoramento del giocatore. E la Roma, nel tentativo di alzare il prezzo, avrebbe ottenuto l’effetto opposto, svalutando un patrimonio.

 

Fonte: corriere dello sport

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